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“La grande bellezza” di Paolo Sorrentino

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La genialità visionaria nel Cinema è rappresentata dalla potenza delle immagini unita al simbolismo delle scene. In Italia il migliore regista ad esprimere tali caratteristiche nel suo lavoro è Paolo Sorrentino, e scorrendo la sua filmografia non si fa alcuna fatica a trovare dimostrazioni di Cinema visionario con picchi estremi e di più alta qualità ne Le Conseguenze dell’amore e Il Divo.

L’evoluzione stilistico – narrativa ha portato Sorrentino a girare La Grande Bellezza, un’opera altamente simbolica e potente non solo nelle immagini ma nei connotati viscerali del racconto, in una specie di “viaggio” attraverso gli inferi di un’umanità lacerata e deformata. Emblematico traghettatore che ci accompagna alla scoperta di questa fauna infernale è Jep Gambardella, scrittore napoletano che si è inventato giornalista, cronista delle stravaganze artistiche per manifesta pigrizia, perché “Roma ti deconcentra“: a 25 anni scrisse il suo primo e unico romanzo avendo un successo inaspettato e trasferitosi a Roma fu travolto dal vortice della mondanità senza più uscirne.

Divenuto il re dei mondani, uno dei principali organizzatori di feste della Capitale, Jep, sessantenne, passa le sue giornate tra riunioni più confidenziali che lavorative con la direttrice del giornale per cui scrive, incursioni nell’arte moderna per interviste a persone o articoli su argomenti per cui prova scarso interesse, chiacchierate con il suo migliore amico, un poeta fallito che sogna di scrivere un dramma teatrale ma cerca di vivacchiare tentando di convincere Jep a fare un libro-intervista sulla sua vita; mentre la sera, quando non ci sono feste o appuntamenti mondani, riunisce alcuni degli “amici” più fedeli per fare salotto sulla sua terrazza con vista Colosseo per “parlare di vacuità, perché non vogliamo misurarci con la nostra meschinità…siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po’ in giro“.

Al termine di queste nottate imperniate sul nulla che, come Flaubert, avrebbe voglia di raccontare in un romanzo, Jep si rifugia nelle passeggiate attraverso “la grande bellezza” che lo circonda, la bellezza solenne della città eterna, una bellezza talmente sbalorditiva da essere letale per un turista giapponese il cui cuore non regge alla vista di Roma dalla terrazza naturale del Gianicolo. 

E’ grazie alla “grande bellezza” che Jep ritrova in alcuni momenti la sua giovinezza, la magia dei ricordi, di un amore che non ha mai dimenticato e che torna a fargli visita a distanza di quarant’anni; ma forse è troppo tardi per riprendersi un futuro che allora gli sembrava florido e pieno di aspettative, di promesse oramai fallite…o forse c’è sempre tempo per risvegliarsi dall’appiattimento dell’orrido disincanto con la consapevolezza che “a 65 anni non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare“, perché arriva il tempo in cui non basta averla intorno “la grande bellezza” ma si sente la necessità di trovarla in sé, di viverla, di farne parte.

L’ultimo film di Paolo Sorrentino è un impietoso ritratto dell’Italia moderna, del decadimento di una società che incapace di essere all’altezza dell’immensa bellezza in cui vive si è abbandonata al nulla assoluto trincerandosi dietro ad una moralità e ad un’integrità ideologica solo apparenti: false amicizie, rapporti di convenienza, genuflessioni e riverenze ad un clero troppo occupato con la mondanità e con le ricette di cucina per interessarsi ai dubbi esistenziali e spirituali di un gregge fatto di pecore che per quanto cerchino di essere originali finiscono per rassomigliarsi tutte grazie alla nuova divinità impersonata da un chirurgo estetico. 

Il protagonista Jep Gambardella è l’emblema di un sogno svanito, di un paese talmente pieno di risorse da non sapere che farsene e invece di arrovellarsi e impegnarsi per capire come elevarsi e sfruttare “la grande bellezza” si accontenta della vacuità in cui galleggia. Il racconto di Sorrentino evita il moralismo, ma riempie di significati tutti i frammenti che mostra, unendo il feroce sarcasmo alla malinconia più assoluta, il kitsch sfrenato all’austerità dei monumenti romani, la morte come dramma ma anche come opportunità di farsi vedere, vetrina irrinunciabile.

La Grande Bellezza trova nelle figure disegnate nella sceneggiatura da Sorrentino e Umberto Contarello le ideali rappresentazioni di un’umanità naufragata nel denaro e nella menzogna, occupata ad apparire e a tenere a riposo una coscienza che non ha valore spendibile nella propria esistenza e nella società che la prende come riferimento.

Se briciole di sincerità si ritrovano lungo il percorso di questa storia si devono a personaggi che lambiscono solamente l’umanità di cui sopra e ambiscono a farne parte vuoi per il luccichio costante e la gioia apparente mostrata da quel mondo vuoi per assicurarsi un futuro senza tribolazioni; così come il migliore amico di Jep che, interpretato da un bravissimo Carlo Verdone, è una figura patetica e triste per il suo costante fallimento e il vivere di riflesso all’amico celebre e talentuoso a cui però dimostrerà il coraggio di una decisione che, nonostante abbia il sapore della sconfitta, paleserà barlumi di dignità in persone che ne avevano dimenticato il significato.

Ad interpretare Jep Gambardella è uno stratosferico Toni Servillo, capace di sorprendere ogni volta di più, folgorante nel timbrare con indolenza e umorismo partenopeo il personaggio del giornalista – scrittore donandogli sprazzi di cinismo e teatralità ostentata e nello stesso tempo riuscendo a esprimere commozione nei frangenti in cui sono i ricordi e la malinconia a smascherarlo.

Il resto del cast è composto da attori integratisi perfettamente con il lavoro di Sorrentino a cominciare da Carlo Buccirosso che è destinato a diventare il caratterista di fiducia del regista, passando per la piccola grande Giovanna Vignola, Iaia Forte, Sabrina Ferilli, Galatea Ranzi, Massimo Popolizio, Roberto Herlitzka, Pamela Villoresi, Isabella Ferrari, Massimo de Francovich, Giorgio Pasotti, Luca Marinelli, Ivan Franek, Anita Kravos, Dario Cantarelli, davvero tutti bravi in ruoli più o meno brevi ma a loro modo sintomatici per descrivere al meglio la “fauna infernale” che circonda il protagonista.

Una magnifica fotografia che va dagli interni di case lussuose e di palazzi storici della nobiltà nera (papalina) alle profonde meraviglie architettoniche e naturali di Roma, porta la firma di Luca Bigazzi, occhio ideale per dare vita alle immagini desiderate e narrate da Paolo Sorrentino a cui il montaggio di Cristiano Travaglioli fa da collante tanto inesorabile quanto creativo.

Il regista napoletano con l’ultima pellicola girata ha aggiunto un tassello fondamentale alla sua scalata verso quell’Olimpo cinematografico formato dagli autori che hanno lasciato il segno nella Settima Arte: La Grande Bellezza è un film triste, simbolico, poetico, amaro, dissacrante, ambiguo….senz’altro di difficile presa popolare ma non per questo elitario o sperimentale. La Grande Bellezza è un’opera cinematografica di elevata qualità e straordinaria e simbolica efficacia narrativa.

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