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Interviste

Dalla sceneggiata a Fortapasc: intervista all’attore Ernesto Mahieux

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La prima volta che ho visto sul grande schermo Ernesto Mahieux è stata nel 2001: il film era “L’imbalsamatore” di Matteo Garrone e lo sconcerto per una storia così spiazzante ma cinematograficamente folgorante veniva timbrato da un’interpretazione magistrale, perché cruda e naturale. Da allora nessuno dei suoi ruoli è parso simile all’altro, e riscoprendo i film che aveva girato in precedenza, negli anni ’80, sembrava evidente la necessità di trovare storie importanti che permettessero all’attore Mahieux di esprimere appieno quelle doti che in teatro erano già emerse nella pluriennale carriera.

In Italia, erroneamente, si pensa al caratterista come a una figura minore nelle opere cinematografiche, mentre dalla commedia all’italiana in poi è grazie alla bravura di tali attori che un’opera diventa armoniosa, interessante e completa e che alcuni dei più grandi interpreti della storia del Cinema danno il meglio: Ernesto Mahieux è un caratterista atipico perché non rinchiude le sue interpretazioni in un’unica maschera recitativa anche se la fisicità glielo consentirebbe; i ruoli da lui ricoperti variano dalla figura al limite del macchiettistico ai personaggi dalle sfumature intriganti, incisivo tanto nei toni comici quanto in quelli drammatici, alle prese spesso con personalità ambigue dall’approccio familiare e conciliante che poi si rivelano disoneste e pericolose o pavide opportuniste.

Dalla sceneggiata degli esordi, “Giuramento” – “Guapparia” – “Torna“, alle incursioni nel Cinema dei giovani autori contemporanei, “Nero bifamiliare” (Federico Zampaglione) – “Pater familias” (Francesco Patierno) – “Te lo leggo negli occhi” (Valia Santella) – “Un giorno della vita” (Papasso), dall’esordio registico di Giancarlo Giannini, “Ternosecco“, a quello di Fabrizio Bentivoglio, “Lascia perdere Johnny“, dal Cinema impegnato di “All the invisible children” di Veneruso e “Fortapasc” di Marco Risi, alle esperienze con due dei più grandi registi italiani quali Ettore Scola, in “Maccheroni“, e Carlo Lizzani, in “Hotel Meina“, Ernesto Mahieux non ha mai lasiato che il suo passaggio interpretativo risultasse banale o scontato; sia che riguardasse un ruolo da protagonista come ne “L’imbalsamatore” (che gli è valso il David di Donatello) sia che si trattasse di un breve cameo come nel bellissimo “Nuovomondo” di Emanuele Crialese.

E tutt’altro che banale è stata anche la conversazione avuta con lui.

Il percorso che l’ha portata a diventare l’attore conosciuto e apprezzato che è ora, é stato caratterizzato da una lunga gavetta e da molteplici sacrifici che l’hanno vista calcare per anni i palcoscenici teatrali prima di arrivare al Cinema: c’è stato un momento decisivo lungo questo tragitto in cui ha capito che il suo destino era quello di recitare?

Nel momento in cui ho deciso di fare l’attore e ho visto che il pubblico mi era favorevole ho capito che dovevo continuare, perché al primo dissenso avrei smesso subito. Da quando ho iniziato questa avventura ho sempre avuto la fortuna di avere ottimo consensi sia di stampa che di pubblico. La mia era una passione fortissima ed era un obiettivo che mi ero proposto e imposto.

Che ricordo ha degli esordi cinematografici con la sceneggiata? Com’era lavorare con Mario Merola?

Lavorare con Merola è stato un piacere perché lui era un ottimo compagno di palcoscenico e di vita; ho iniziato con lui a teatro e poi abbiamo girato tre film insieme. Cinque anni incantevoli in cui ho imparato tantissimo, era un maestro, consapevole della sua grandezza ma generoso con tutti quelli con cui lavorava. Lui diceva ‘la gente deve venire a teatro dicendo vado a vedere Mario Merola e se ne deve andare dicendo ma che brava questa compagnia teatrale’, alla stregua di un padre orgoglioso dei complimenti che riceve la sua famiglia.

Ha avuto la fortuna di essere diretto da registi affermati e da autori emergenti, da colleghi che si sono dilettati nella regia e da un fuoriclasse internazionale come Abel Ferrara in “Napoli Napoli Napoli“: c’è un’esperienza in particolare che ricorda con maggiore piacere?

L’esperienza migliore spero sia sempre quella che verrà, la prossima; questo perché, per essere sincero, mi sono trovato bene con tutti i registi con cui ho lavorato, anche perché parto dal presupposto che se mi scelgono o comunque mi devono dirigere devo affidarmi a loro e avere rispetto del loro lavoro. Oggi i registi che riescono a lavorare con il cast che hanno in testa si contano sulle dita di una mano, perché per fare un film la produzione quasi sempre impone gli attori con cui girare, per non parlare delle intromissioni della politica nei cast cinematografici; ma io da qualche anno ho la fortuna di essere uno di quelli che se viene richiesto da un regista, il produttore non fa una piega perché, con tanta modestia, ho un nome che può aiutare un film, soprattutto di un esordiente.

Solo con Crialese ho litigato, però a film montato, perché la mia parte era stata troncata in ‘Nuovomondo‘ e non erano quelli i patti in fase contrattuale; tanto che ho imposto che il mio nome non comparisse nei titoli di coda.

Negli ultimi anni oltre al Cinema è stato interprete di alcune fiction per la tv e col passare del tempo pare che le opportunità lavorative per gli attori italiani arrivino sopratutto dal piccolo schermo. A parte le ovvie differenze produttive e strettamente economiche riguardanti la vostra categoria, come giudica la qualità di questi lavori per la televisione dalla doppia prospettiva di interprete e di semplice spettatore?

Il fenomeno fiction cresce perché più c’è crisi più si produce materiale per la televisione, perché la gente resta in casa non avendo soldi da spendere per uscire ed è inchiodata davanti alla tv. Certo lavorare nelle fiction, quelle fatte bene, per me è un piacere perché permette una maggiore visibilità e l’immediatezza di arrivare subito nelle case; non sempre quando lavori nel Cinema vedi la tua fatica arrivare all’obiettivo della distribuzione, quindi della visibilità pubblica.

Tra i ruoli più significativi e probabilmente più emozionanti per lei c’è senz’altro Sasà, il caporedattore della cronaca a Torre Annunziata in ‘Fortapasc‘. Finalmente dopo due anni la rai ha deciso di mettere in onda nel mese di settembre l’opera di Marco Risi sulle ultime settimane di vita del giornalista Giancarlo Siani; eppure non è mancata la polemica di turno che ha spinto il sindaco di Torre Annunziata, Starita, a scrivere alla Rai per esprimere la propria amarezza per la decisione di programmare sulle reti pubbliche un film che mostra un periodo in cui la cittadina che amministra era caratterizzata dallo strapotere della camorra e dalle collusioni tra malavita, politica e imprenditoria, senza nemmeno provvedere a ‘integrare’ la visione del film con un documentario che racconti come è cambiata da allora Torre Annunziata. Appena letta la notizia della lettera del sindaco cosa ha pensato?

Fortapasc è un film importantissimo che andrebbe fatto vedere una volta a settimana e soprattutto ai giovani. Il film è innanzitutto datato, parla di un’epoca ben precisa della storia di Torre Annunziata, poi per fortuna c’è stata un’evoluzione, un cambiamento della cittadina che non è in discussione. La proiezione di quest’opera può solo aiutare a migliorare; quello che racconta il film è accaduto a Torre Annunziata ma poteva avvenire in altri posti dove sono morti tanti martiri delle mafie come Giancarlo Siani; basti pensare a Cinisi e a Peppino Impastato. Purtroppo Torre Annunziata fa parte di quel sud del mondo che è stato sempre trascurato dai nostri governanti di ieri, di oggi e speriamo non da quelli di domani.

Ora vive a Torre del Greco e la passione per il Cinema l’ha portata ad ideare una rassegna per dare visibilità ai giovani che vogliono cimentarsi nella regia di cortometraggi approfittando nello stesso tempo per promuovere gli artisti incisori della città del corallo; l’organizzazione del Corto Cameo Film Festival era a buon punto poi la prima edizione che doveva tenersi a settembre è stata rimandata. Quali sono i motivi che vi hanno costretti al rinvio? Può già annunciare una data precisa per l’inizio del festival?

Purtroppo siamo in piena crisi, si credeva il peggio fosse passato e invece pare sia appena iniziata la fase più critica di questa destabilizzazione economica. Il nostro festival era finanziato esclusivamente da privati che negli ultimi mesi facendo i conti con tale crisi addirittura stanno lottando per la sopravvivenza delle loro attività e dei posti di lavoro che ne derivano; e altro non si è potuto fare che rinviare questa prima edizione. La speranza è che il 2012 sia l’anno buono e alcuni colloqui che ho avuto con delle persone in queste settimane mi fanno essere fiducioso. Ci tengo molto a questo festival che ho ideato perché più che per il Cinema lo voglio fare per la città in cui vivo da 36 anni: Torre del Greco è bellissima e deve essere rivalutata in tutta la sua bellezza e nel mio piccolo voglio che in futuro, quando non ci sarò più, magari qui si ricordino di me perché con questo festival, che mi auguro diventi un appuntamento fisso, avrò fatto qualcosa di buono per la città.

Il suo film più recente, ‘Un giorno della vita‘, è una bella favola sul Cinema che però, come succede troppe volte alle opere dei registi esordienti, ha avuto scarsa distribuzione. Ha qualcosa in cantiere in questo momento, qualche progetto già in lavorazione? Quando potremo rivedere Ernesto Mahieux sul grande schermo?

Sto girando l’opera prima della regista Elisa Fuksas che s’intitola ‘Non parto, non resto‘, una storia sulla crisi dei trentenni, sull’incertezza eterna che, come dice chiaramente il titolo, fa cambiare idea proprio mentre si sta per mollare; penso ne verrà fuori davvero un buon film e il mio è un bel personaggio finalmente positivo dopo troppi ruoli ambigui.  A breve inizio a girare ‘La moglie del sarto‘ di Massimo Scaglione, con protagonista Maria Grazia Cucinotta, un film ambientato in Calabria in cui faccio un personaggio molto divertente. Entrambi questi lavori dovrebbero uscire al cinema nel 2012. Poi c’è ‘Ameriqua‘, una commedia di Bellone e Consonni che ho già girato ma non trova distribuzione.

Per chi mi volesse vedere a teatro torneremo ancora con la trasposizione di Gomorra, al quinto anno di repliche; e con uno dei progetti a cui sono più legato, ‘Romeo e Giulietta – Nati sotto contraria stella‘, nella messinscena della famosa tragedia di Shakespeare però in stile elisabettiano, cioè solo con attori uomini…purtroppo ad oggi non c’è un solo teatro napoletano che si sia reso disponibile a mettere in cartellone questo spettacolo. Così come per la distribuzione cinematografica anche la programmazione teatrale è malata. Ogni anno girano sempre gli stessi nomi nei cartelloni cittadini, chissà perché.

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