NAPOLInelCINEMA

Napoli è Cinema…fa Cinema…ispira il Cinema

EventiInterviste

Toni Servillo: “la tradizione culturale napoletana è una ricchezza inestimabile”

condividi articolo

Nel magnifico scenario di Vico Equense, con il mare a fare da tappeto e sullo sfondo il lato meno conosciuto del Vesuvio, grazie a Giuseppe Alessio Nuzzo e al suo Social World Film Festival è arrivato uno dei migliori attori del Cinema contemporaneo, non solo italiano: Toni Servillo. Al culmine di una stagione tra le più floride della sua carriera, con il trittico di opere di autori partenopei – Qui rido io di Mario Martone, E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, Ariaferma di Leonardo Di Costanzo – e il film tv Esterno notte che Marco Bellocchio ha girato sul rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, Servillo è stato insignito dalla Mostra Internazionale del Cinema Sociale con il Golden Spike Award. Il suo soggiorno in Costiera Sorrentina, oltre ad essere utile per lo svelamento dell’insegna del Nuovo Cinema Aequa che aprirà i battenti a Vico Equense in autunno e ad effettuare una masterclass con aspiranti attori, è servito a stampa e pubblico per ascoltare dalla sua voce molte riflessioni interessanti su svariati argomenti. A cominciare dalla tradizione culturale napoletana.

La fortuna di avere un piede in quella tradizione così nobile è molto importante sopratutto se è unita alla voglia di utilizzare l’altro piede per lanciarsi verso il futuro, rimanendo ben ancorati a quella sapienza. Poi c’è la lingua napoletana e io lo dico spesso: quando ho difficoltà a trovare il tono giusto per una battuta me la dico in napoletano e poi la recito in italiano. La lingua napoletana è una lingua teatrale per eccellenza, di quelle che già contengono nel loro modo di essere, nella loro natura, un’indicazione di comportamento…e questo per un attore è fondamentale. In Italia c’è il Veneto, probabilmente, con la sua straordinaria tradizione…ma insomma questi nostri dialetti, che sono lingue, hanno già una ricchezza che suggerisce ad un attore un comportamento, non soltanto il modo di dire la battuta.

C’è qualcuno che si è avventurato…degli antropologi si sono avventurati in una definizione dei napoletani come di un popolo che ha un comportamento sociale recitato. Quindi vivere, crescere a questa latitudine, se non bastassero le ragioni di una tradizione così nobile , così importante che si ha alle spalle, vivere poi nel quotidiano semplicemente sentendo tale lingua e vedendo quei comportamenti sociali è una palestra straordinaria per un attore, è proprio un teatro sempre aperto…evitando, naturalmente, che questo teatro diventi maniera, oleografia, bozzetto…invece riuscire a cogliere tutta la forza, l’audacia, l’entusiasmante capacità comunicativa del popolo napoletano arricchisce, soprattutto noi attori. La tradizione culturale napoletana è una ricchezza inestimabile.

Complice la proiezione durante il Social World Film Festival di “Qui rido io” di Mario Martone, Toni Servillo ha parlato dell’amicizia con il regista, dell’emozione nel girare il film e della straordinarietà di Eduardo Scarpetta e dei fratelli De Filippo.

Io e Mario Martone siamo amici e compagni di viaggio da quando avevamo 18 anni, e abbiamo fatto tanto teatro insieme. Il suo esordio da regista coincide con il mio da attore cinematografico, ‘Morte di un matematico napoletano‘…poi c’è stato ‘Teatro di guerra‘ qualche anno dopo. Abbiamo fondato insieme la compagnia Teatri Uniti. Per cui quando mi ha chiamato e mi ha detto ‘sto pensando di fare un film su Scarpetta e sulla formazione, sull’inizio di una vocazione così importante per i tre piccoli De Filippo’ che poi diventeranno quelli che tutti noi conosciamo…beh, un po’ perché questa proposta mi veniva da Mario, quindi da un amico, un po’ perché si pensava di affidare a me la responsabilità di raccontare attraverso Scarpetta un momento di grande civiltà, di grande felicità della città di Napoli, ho provato molta gioia prima nell’accettare e poi anche nel girare ‘Qui rido io‘. Ho sentito ovviamente una grande responsabilità perché questo film racconta tante cose: si, naturalmente il protagonista della vicenda è Eduardo Scarpetta…ma c’è una protagonista indiscutibile e centrale che è Napoli. Una città capace di esprimere nello stesso periodo il più grande autore comico teatrale dell’epoca, che aveva una polemica con alcuni dei più grandi poeti del momento, da Salvatore Di Giacomo a Ferdinando Russo fino a Libero Bovio…tutti rappresentati in questo film…e Scarpetta per farsi difendere nel processo intentato ai suoi danni per la parodia della ‘Figlia di Iorio’ di Gabriele D’Annunzio, chiama un giovane filosofo di nome Benedetto Croce.

Quindi si può immaginare che clima culturale straordinario c’era in quel periodo a Napoli. Sicuramente c’è un vitalismo, una brama di vivere in Eduardo Scarpetta; ha una forza animalesca e io l’ho sempre immaginato come un predatore…l’animale predatore non si allontana molto dal suo territorio per catturare le prede, ma circoscrive un territorio, decide che quel territorio circoscritto è il territorio dove lui darà la caccia. Tutto sommato è quello che in tutta la vita ha fatto Scarpetta, le prede sono state le sue donne, amandole tanto, ma alcune le ha fatte soffrire sempre governato, però, da una profonda passione, voracità, che era la stessa che aveva per il teatro e per il suo pubblico. Tutto ciò ne ha fatto nel bene, nei suoi aspetti positivi, ma anche in quelli negativi che fanno parte di qualsiasi avventura umana, un vero e proprio affamato di vita…quando sente che si fa strada chi prenderà il suo posto, il film racconta quelle zone grigie in cui inevitabilmente chi si è sentito re finisce perché sa che lo scettro passerà a qualcun altro. Quello che è affascinante in ‘Qui rido io‘ è che lo Scarpetta che vediamo nel periodo narrato nella pellicola non avrebbe mai immaginato, magari lo iniziava ad intuire, che proprio uno di quei figli non legittimati poi avrebbe raccolto lo scettro e avrebbe fatto brillare quella corona di una luce talmente splendente da farla arrivare fino ai giorni nostri..mi riferisco naturalmente ad Eduardo.

Non penso che tante civiltà teatrali possano vantare il racconto di un’unica famiglia che per 200 anni offre al pubblico uno specchio di storie nel quale potersi riflettere. Per 200 anni questa famiglia, nei suoi diversi esponenti, ci ha fatto ridere, ci ha fatto piangere, ci ha fatto pensare, sempre la stessa famiglia. L’intreccio tra la dimensione familiare e la dimensione pubblica è l’avventura affascinante di questo lavoro di Mario Martone che, con straordinaria abilità, ha saputo confondere i due piani…per cui, vedendo il film, non capiamo il più delle volte se le tende dei palazzi sfarzosi di casa Scarpetta sono delle quinte teatrali o se le quinte teatrali del palcoscenico in realtà sono tende di una casa, il palcoscenico e i salotti si confondono…non sappiamo se recita nell’intimo della sua casa e se è vero il palcoscenico o sono vere tutte e due le cose, e che passi indifferentemente da un palcoscenico che è quello della vita e dalla vita del palcoscenico.”

Ringraziando il pubblico e il direttore del festival Giuseppe Alessio Nuzzo, Servillo ha voluto ricordare i motivi che lo hanno spinto a partecipare alla dodicesima edizione della Mostra Internazionale del Cinema Sociale.

Tre ragioni, principalmente, mi hanno fatto venire al Social World Film Festival di Vico Equense con particolare piacere. La prima è che, in queste occasioni pubbliche, gratuite, gli artisti decidono di venire per ritrovare la genuinità, la semplicità…troppe volte il nostro mondo è costretto ad essere raccontato attraverso lustrini e cose simili, invece può essere anche più bello farlo in un incontro estivo, aperto, ancor di più se lo si può fare in uno scenario meraviglioso come questo…noi artisti napoletani, campani credo poi che dobbiamo supportare per quanto ci è possibile tutte le iniziative positive e propositive della nostra terra. La seconda ragione è che sapevo che avrei incontrato dei ragazzi, degli aspiranti attori…ed è stato stimolante e interessante potergli raccontare un po’ della mia esperienza…e se questo è servito anche a uno solo di loro posso dire di non essere venuto inutilmente.

La terza ragione è una cosa un po’ privata: mi ricordo che da giovane, dalla provincia della metafisica casertana, quando volevo conquistare una ragazza la portavo, con un pizzico di esotismo, allo Scrajo, immaginando di portarla alle Bahamas.
Mi ricordo che il lido di fianco allo Scrajo aveva uno scoglio con una palma…e insomma…da Terra di Lavoro a Vico Equense, quando ero veramente molto più giovane, rappresentava un dongiovannismo un po’ esotico…e a pensarci adesso mi fa molta tenerezza.”

condividi articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *