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Francesco Di Leva: “il panettiere di San Giovanni è diventato attore”

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Francesco Di Leva da San Giovanni a Teduccio, attore…e che attore! Una crescita esponenziale che in vent’anni lo ha portato dalle comparsate nella serie tv “La squadra” al Nastro d’Argento come Migliore Attore non Protagonista per “Nostalgia” di Mario Martone.

Invitarlo come ospite speciale alla dodicesima edizione del Social World Film Festival di Vico Equense è stato doveroso per il direttore Giuseppe Alessio Nuzzo, non solo per celebrare il premio prestigioso ricevuto da poche settimane; ma perché in concorso nella sezione Focus del festival c’erano ben tre film con protagonista l’attore partenopeo che, appena lo ha saputo, ha dichiarato durante l’incontro con la stampa:

Mi imbarazza moltissimo questa cosa…a parte gli scherzi sono tre film che meritano di essere stati selezionati da un festival come il vostro che tratta temi sociali e guarda a giovani talenti e sono convinto che sia Paolo Cipolletta che Luigi Pane che Tommy Weber meritino questa attenzione per la loro bravura

I tre film in questione, “Fino ad essere felici” di Cipolletta, “Un mondo in più” di Luigi Pane e “Come prima” di Tommy Weber sono stati girati tutti nell’ultimo biennio, un periodo decisamente intenso come ha ricordato Di Leva. 

Sono stati due anni molto felici a livello lavorativo per me. Ho cominciato con Luigi Pane girando ‘Un mondo in più‘ e mi fa piacere citare il protagonista, Francesco Ferrante, e Denise Capezza. Abbiamo girato proprio a cavallo della pandemia, della prima ondata…e nonostante il periodo complicato che si stava vivendo è stato un bellissimo percorso fatto con il regista che non solo è un artista generoso ma è proprio una bella persona, e questi film, il più delle volte, rispecchiano la natura dei registi. Perché è vero, i film sono anche degli attori ma sono sopratutto dei registi. 

Dopo ‘Un mondo in più’ è arrivato Paolo Cipolletta con ‘Fino ad essere felici’ che parla di una drag queen; e mi interessava moltissimo provare il brivido dei tacchi a spillo per capire la sofferenza di mia moglie…è stato piuttosto divertente girarlo e la mia stima per le donne è cresciuta ancora di più dopo il film.

Poi sono passato a Tommy Weber, ‘Come prima‘, un film completamente diverso che parla di due fratelli che si ritrovano a distanza di 17 anni ed è ambientato negli anni 50. Ho lavorato con un interprete strepitoso come Antonio Folletto. Il film è tratto da una graphic novel, il regista, Tommy, è francese; mentre la produzione è napoletana, è la Mad che poi ha prodotto anche Nostalgia di Mario Martone“. 

“Nostalgia” è la ciliegina sulla torta di questi due anni. 

Con Mario Martone c’è un percorso che dura da vent’anni, anche grazie al teatro, e lui mi ha proposto questo ruolo del sacerdote che non esisteva nel libro di Ermanno Rea da cui è tratto il film. E la figura di questo prete che interpreto è ispirata a Padre Antonio Loffredo, parroco della Sanità. Mario ha deciso di affidare a me questo ruolo perché quello che sto facendo ormai da anni per i ragazzi di San Giovanni a Teduccio con il Teatro NEST, insieme ad un collettivo di artisti come Adriano Pantaleo, Giuseppe Miale e Giuseppe Gaudino gli ha ricordato il lavoro che quotidianamente don Antonio fa alla Sanità. Padre Loffredo indossa una tonaca ma pare quasi un supereroe…noi a San Giovanni non ce l’abbiamo la tonaca e non sembriamo affatto supereroi ma proviamo a supportare tanti ragazzi, sono circa 60 ora

Grazie a “Nostalgia” Francesco Di Leva ha conosciuto Pierfrancesco Favino. 

Con Pierfrancesco Favino abbiamo intrapreso un viaggio, ci siamo promessi amicizia tanto che posso chiamarlo Picchio come fanno le persone che gli vogliono bene. L’amicizia è nata alla Sanità. Ci conoscevamo di sfuggita anche prima del film ma non così bene…il collante decisivo è stato ‘Nostalgia‘, la lavorazione, la sceneggiatura di Ippolita Di Majo…ci siamo incontrati e conosciuti non da attori e personaggi ma da uomini ed è nata una grande sintonia. Non credo che sia un caso che in questo periodo stia girando con lui a Milano il nuovo film di Andrea Di Stefano. Qualche anno fa si diceva, parafrasando una battuta della serie Boris, ‘tutti i film li fa Favino’, e secondo me li fa non solo perché è un grande artista ma perché è un grande uomo.” 

Essere in sintonia con le persone con cui si lavora è diventato per Di Leva fondamentale alla pari se non di più di una buona sceneggiatura . 

Da un po’ di tempo a questa parte quando scelgo un film leggo ovviamente la sceneggiatura ma cerco anche di capire, grazie a tanti incontri preliminari, se con le persone con cui lavorerò può esserci un processo creativo, un viaggio umano e professionale da poter fare insieme. E negli ultimi film che ho fatto questo è sempre avvenuto. Non si sceglie un film solo per una questione economica…nell’ultimo periodo non l’ho mai fatto, anche se le sirene non sono mancate. Ad esempio c’è un produttore che mi vuol fare comprare casa altrove, ma fino ad ora io e mia moglie Carmela abbiamo sempre resistito. Fortunatamente non abbiamo tanti vizi e viviamo ancora nella nostra casa normale, modesta a San Giovanni a Teduccio.

Le origini, le radici che non si dimenticano. 

Io nasco panettiere e pur non essendolo più, dentro mi sento ancora un po’ panettiere…quindi le mie scelte, finora, sono legate al viaggio che voglio compiere, artisticamente e umanamente, e penso che i miei ultimi lavori stiano lì a dimostrarlo. Io non sono differente come uomo e come attore. L’attore può indossare un costume da arlecchino, come un leopardo è ricoperto da macchie…ma ognuno di voi conosce il dolore, la sofferenza, l’allegria, la simpatia, la gioia, l’amore…sentimenti che tutti noi conosciamo…solo che l’attore deve essere capace di individuare in un dato momento quel sentimento che è nascosto in un angolo del suo corpo per metterci sopra una lente di ingrandimento e restituirla al regista. Se il regista è bravo a pilotare quell’emozione può venire fuori un grande film; credo sia questo uno dei segreti per la buona riuscita di un’opera cinematografica. ” 

Francesco Di Leva è passato da “Pater Familias” di Francesco Patierno a “Vento di terra” di Vincenzo Marra, da “Sotto la stessa luna” di Carlo Luglio a “Tris di donne e abiti nuziali” di Vincenzo Terracciano, ma non sono mancate le incursioni nelle commedie come in “Caccia al tesoro” di Carlo Vanzina e “Bob & Marys” di Francesco Prisco, “Natale col boss” di Volfango De Biasi, “Metti la nonna in freezer” di Fontana e Stasi e “Benvenuti in casa Esposito” di Gianluca Ansanelli; sarebbe delittuoso non citare “Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini, “Milionari di Alessandro Piva e “La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu. 

Dal 2019, con “Il sindaco del Rione Sanità” di Mario Martone, è cominciato ad evidenziarsi ancora di più quel camaleontismo che gli ha permesso di entrare di diritto nel novero degli attori più talentuosi del Cinema italiano, che si trattasse di ruoli da protagonista (“Fino ad essere felici” di Paolo Cipolletta, “Un mondo in più” di Luigi Pane) così come di intense interpretazioni da comprimario (“Il delitto Mattarella” di Aurelio Grimaldi, “Il buco in testa” di Antonio Capuano, “Il bambino nascosto” di Roberto Andò). Tutti ruoli diversi tra loro, molto spesso agli antipodi come quello di Fabio, il fratello fascista in “Come prima” di Tommy Weber e Don Luigi, il sacerdote di “Nostalgia” che gli è valso il Nastro d’Argento. 

Mi piacciono molto le contraddizioni. Quando mi viene data la possibilità di lavorare a un personaggio, mi piace raccontarlo quando è da solo, nella propria stanza da letto, nel bagno, e pensa a delle sciocchezze, quelle a cui ognuno di noi pensa quando è da solo; a quelle furbate che vengono in mente a tutti e nessuno vede e che sono piene di contraddizioni, sia in positivo che in negativo. Io credo che tutti abbiano una zona d’ombra e una zona di luce e a me piace mostrare quella zona d’ombra, mi piace far vedere che un prete può essere cazzuto e che se deve cacciare fuori una persona dalla chiesa lo fa, così come succede al mio personaggio con il protagonista in ‘Nostalgia’. 

Ma, voglio dire, è quello che mi ha restituito Padre Antonio Loffredo perché è un uomo prima ancora di essere un prete e quindi lui mette davanti le sue contraddizioni…quindi caccia dalla chiesa. Io l’ho seguito per tre mesi, e posso dire che su 50 volte che l’ho contattato almeno una ventina mi diceva  ‘Guagliò, oggi nun è jurnata!’. A volte gli scrivevo un messaggio ‘Vengo?’ e lui rispondeva ‘No!’ senza spiegazioni…e questo mi appassiona perché sono reazioni umane. La stessa cosa avviene per il personaggio che interpreto in ‘Come prima‘: Fabio è un uomo forte, ma in realtà è una corazza che usa per proteggere la sua debolezza, fragilità interiore, emotiva, per nascondere i suoi problemi. 

Per esempio, ieri ero nel traffico e c’è ancora gente che scende dall’auto per litigare perché deve passare prima…io osservo molto queste persone, con grande attenzione, perché è gente che va aiutata, non va isolata o semplicemente giudicata; perché la maggior parte di queste persone non ha i mezzi per esprimersi, non ha l’intelletto. Se io mi rado i capelli a zero voi vedrete sulla mia testa numerose cicatrici: ho fatto a mazzate per oltre dieci anni nella mia vita, dai 13 fino ai 25 anni ho fatto a botte tutti i giorni perché non avevo gli strumenti per poter interagire con le persone. L’unico modo che avevo per interagire con gli altri era fisicamente, per me era normale mettere le mani addosso alle persone. 

Ero molto geloso…ho passato dei momenti tristi perché ero abbagliato dall’ignoranza e una volta ho dato uno schiaffo a mia moglie e le ho perforato un timpano. Abbiamo resistito, eravamo giovani…io parlo spontaneamente di queste cose come se stessi a casa mia a raccontarle a persone che conosco da tempo…e lo faccio perché le abbiamo superate, perché poi è nato il miglioramento. 

Il miglioramento nasce quando incontri degli uomini giusti che sanno che tu puoi essere un talento, che sei stato un bambino che è nato nel posto sbagliato. Per fortuna ho incontrato persone del genere, gli uomini giusti e per questo poi nasce il NEST, perché queste persone mi hanno insegnato a dover dare, visto che ad un certo punto ho iniziato a ricevere tanto amore, tanta passione. 

E poi ho incontrato i libri: prima non riuscivo a leggere neanche una pagina, dicevo ‘ma pecché aggia leggere, me fa male a capa’…e invece ho capito tanto, ho cominciato a riflettere tanto. E tra i libri che ho letto ce n’è uno straordinario, ‘Il codice dell’anima’ di Hillmann che consiglio a tutti e che ad un certo punto dice ‘Nutrite ogni giorno quella ghianda che è dentro di voi’ e ho capito che dobbiamo soffermarci ogni giorno occupandoci di quelle emozioni che ci resteranno e serviranno a nutrire quella ghianda.

Io auguro a mia figlia di leggere tanto, ma non perché deve diventare un’intellettuale ma perché deve essere una persona libera, pensante, quello che non sono stato io da adolescente. Tutto questo per dire che gli uomini cambiano e io sono cambiato

Parte del cambiamento è arrivato anche grazie al teatro. 

Ho fatto a teatro uno spettacolo su Mohamed Alì. L’ho fatto perché era un uomo pieno di contraddizioni: era colui che aveva disertato l’esercito e per questo motivo non è potuto salire sul ring per 5 anni, gli anni migliori della vita di un pugile. Però era anche quello che andava a casa e picchiava la moglie, diceva che non poteva indossare la gonna. Mi piace sempre citare una frase di Mohamed Alì che penso sia perfetta e che volevo esprimere nella mia vita ma non ci riuscivo mai: ‘L’impossibile non esiste…impossibile è una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato affidato piuttosto che cercare di cambiarlo’. 

Impossibile non è un dato di fatto, impossibile non può essere per sempre. Io do un consiglio ai ragazzi che vogliono fare gli attori: un giorno qualcuno vi dirà che una cosa è impossibile, voi ve ne dovete fottere perché nulla è impossibile. Tutti possono acquisire gli strumenti per diventare attori. Mia figlia ora dice che vuole fare la criminologa, chissà…tutto è possibile.

Alla fine quel panettiere di San Giovanni a Teduccio è diventato un vero attore. 

Io nasco panettiere, ero un panettiere e lavoravo dalle 8 della sera alle 8 del mattino e a volte quando finivo di lavorare andavo a prendere il treno per Roma per fare i provini…molte volte ero assonnato, una volta mi sono risvegliato a Firenze. Uno di quei giorni, tornato dall’ennesimo provino, mio cugino mi prese da parte e mi disse ‘Tu sei un illuso’, ma non lo diceva con cattiveria però ignorava quanto potesse fare male una frase del genere a un ragazzo di vent’anni, tanto che mi è capitato di pensare che avesse ragione…poi però continuavo imperterrito.. 

Poi ho fatto ‘Il clan dei camorristi’, ma non ho guadagnato così tanto da poter smettere di fare il panettiere…nel frattempo avevo creato pure una famiglia, e quindi andavo per salumerie a consegnare il pane e la gente mi diceva ‘ma stai a canale 5, o ssaje ca sì bravo?’ e io dicevo ‘no, non sono io…è mio fratello gemello. Mo sta a New York, sta appresso a na femmena’. E m’inventavo sta cosa perché non ero ancora un attore, in fondo ero ancora un panettiere. Non so neanche io se ho mai deciso di smettere di fare il panettiere, è stata una cosa venuta di conseguenza. 

Quando ero più giovane ho visto dei colleghi diventare famosi, e poi …le carriere prendono strade diverse e io sto qua al Social World Film Festival e loro…non lo so, erano famosi. Non che io sia famoso o voglia esserlo, io voglio fare il mio lavoro. Non voglio più fare il panettiere…voglio fare l’attore non perché voglio essere riconosciuto per strada, ma perché mi sento un attore.

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