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“Un mondo in più” l’esordio alla regia di Luigi Pane

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Presentato in Panorama Italia alla diciannovesima edizione di Alice nelle città, sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma, “Un mondo in più” è l’opera prima del regista sorrentino Luigi Pane, conosciuto nell’ambiente cinematografico per i suoi pregevoli cortometraggi (Black Comedy, L’Avenir, Quasi ora, tra gli altri)

Ambientato nella periferia romana, in un costante omaggio al cinema e alle parole di Pier Paolo Pasolini, la storia si svolge durante l’arrivo della pandemia che inasprisce le tensioni sociali già presenti, tra italiani ai margini e immigrati. In questo complesso scenario si sviluppa una storia di formazione e integrazione dalle tinte noir.

Tra i protagonisti Francesco Di Leva, Francesco Ferrante, Denise Capezza, Gigio Morra, Tezeta Abraham, Alessandro Bernardini, e la partecipazione straordinaria di Renato Carpentieri nei panni del professor Valenti, l’insegnante ideale che rappresenta l’eredità culturale da riscoprire, la buona scuola.

A proposito di “Un mondo in più” Luigi Pane ha detto: “Il film parla di crescita, di formazione, di contemporaneità, di lealtà, di rivoluzioni interiori ed esteriori, di legami di sangue ed eredità culturali, di restaurazione di cuori e di periferie, per guardare il mondo con occhi sempre nuovi e curiosi.

Al centro della storia c’è Diego (Francesco Ferrante), un ragazzo napoletano che ha appena compiuto diciotto anni. Vive in un quartiere periferico di Roma dove si è trasferito con suo padre Franco (Francesco Di Leva) dopo la perdita della madre. Le sue giornate trascorrono introverse e solitarie finché il padre non è costretto ad ospitare in casa con loro una misteriosa ragazza, Tea (Denise Capezza).

Un mondo in più‘, prodotto da Play Entertainment, ha ottenuto la qualifica d’essai dal Ministero dei Beni Culturali – Direzione Generale Cinema.

La trama

Primavera 2020. Diego , un ragazzo napoletano, ha appena compiuto diciotto anni. Si chiama così in onore di Diego Armando Maradona, l’idolo di suo padre Franco, grande tifoso del Napoli. Ma Diego non ama il calcio e non vive a Napoli. Non più. Dopo aver perso la madre, il ragazzo si è trasferito da circa due anni con Franco in un difficile quartiere della periferia romana, dove sembra essere entrato più in sintonia con i profughi africani che occupano il palazzo difronte al suo che non con i nuovi compagni di scuola.

Le sue giornate trascorrono solitarie ed introverse, fino a che Franco, per ragioni di forza maggiore, è costretto ad ospitare in casa loro la giovane Tea, una ragazza ribelle e indocile, rivoluzionaria ed anticonformista, custode di un importante segreto. La convivenza forzata che Diego avrà con Tea, sullo sfondo di un’Italia che fa i conti con i soliti problemi, sarà il suo percorso di formazione alla vita, la scoperta che con occhi nuovi si può costruire un mondo in più in cui vivere, la consapevolezza che il confine tra bene e male, giusto e sbagliato, extracomunitario e italiano, vincitore e vinto, può essere a volte davvero molto sottile.

Un mondo in più” nelle parole del regista

“Un mondo in più” è un film che parla di crescita, di formazione, di contemporaneità, di lealtà, di rivoluzioni interiori ed esteriori, di legami di sangue ed eredità culturali, di restaurazione di cuori e di periferie, per guardare il mondo con occhi sempre nuovi e curiosi.
Occhi come quelli di Diego, ragazzo napoletano di diciotto anni che si trova improvvisamente, dopo un grave lutto, ad essere abitante del grande mare dei sobborghi capitolini. Lo sguardo del ragazzo, riflessivo, attento, spesso accompagnato dall’inseparabile macchina fotografica, che vede un’opportunità da scoprire in quel turbinio di umanità che lo circonda, è uno sguardo dal grande bisogno di identità in bilico tra ciò che si è lasciato dolorosamente alle spalle e la voglia di scoprire cosa gli offre quel mondo così vasto che gli si apre davanti.

Sarà questo sguardo non omologato, ancora puro, che vede il bello anche dove il bello non c’è, a fare da traghettatore agli altri personaggi, facendogli spostare, se non cambiare, punto di vista. Uno sguardo che la macchina da presa seguirà attentamente senza mai essere invasiva e ingombrante, ma che accompagnerà in maniera discreta diventandone quasi un prolungamento, un pedinamento dei suoi passi attraverso i bellissimi murales del Pigneto e di Tor Marancia, a piedi o in motorino attraverso i grandi comprensori di cemento grigio o gli sgangherati campetti di calcio che sbucano quasi dal nulla tra la giungla d’asfalto, rendendo così lo spettatore parte integrante di questo mondo, di questa storia che prende forma contemporaneamente negli occhi di Diego e in chi guarda il film.

Mi piace pensare che saranno proprio persone come quelle che rappresento nel film, persone ai margini della città e della storia, ma con dentro un’anima che non ha confini, che porranno le basi per un mondo nuovo in cui ci saranno sempre meno barriere di razza, di etnia, di pensiero e di religione.
Dove sarà l’umanità ad essere al centro dell’essere umano. Sempre e comunque.

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