PARTHENOPE – un ambizioso e controverso viaggio epico nell’apparato umano
Parthenope di Paolo Sorrentino è di una bellezza visiva disarmante. La regia e la direzione della fotografia di Daria D’Antonio dipingono ogni scena alla stregua di un quadro che ammalia chi lo osserva, dando allo spettatore la voglia di soffermarsi su ogni inquadratura fino a lasciarsene rapire.
Al cospetto del racconto della vita di Parthenope, i 73 anni attraversati dal 1950 al 2023, si resta smarriti da una storia sullo scorrere del tempo che regala tutto il repertorio di sentimenti. Un’epica del femminile senza eroismi, ma abitata dalla passione inesorabile per la libertà, per Napoli e gli imprevedibili volti dell’amore. Quelli veri, gli inutili e gli indicibili, che ti condannano al dolore. E poi ti fanno ricominciare. La perfetta estate di Capri, da ragazzi, avvolta nella spensieratezza. E l’agguato della fine.
Le giovinezze hanno questo in comune: la brevità. E poi tutti gli altri, i napoletani, vissuti, osservati, amati, uomini e donne, disillusi e vitali, le loro derive malinconiche, le ironie tragiche, gli occhi un po’ avviliti, le impazienze, la perdita della speranza di “poter ridere ancora una volta per un uomo distinto che inciampa e cade in una via del centro“. Sa essere lunghissima la vita, memorabile o ordinaria. E lì in fondo, vicina e lontana, questa città indefinibile, Napoli, che ammalia, incanta, urla, ride e poi sa farti male.
Il viaggio epico di Parthenope è incantevole e disturbante, eccitante e oscuro, misterioso…Parthenope è un mistero, come Napoli. Parthenope è Napoli, Come “Carmela” lo era per Salvatore Palomba e Sergio Bruni, così Parthenope lo è per Sorrentino.
In quest’opera cinematografica tanto evocative sono le immagini quanto metaforica la scrittura: ogni frase, dalla più semplice alla più contorta, persino (soprattutto?) quando si parla di antropologia, è riconducibile a Napoli. I personaggi che circondano Parthenope ne rappresentano le numerose anime, le sfaccettature, le contraddizioni e le esagerazioni.
Impossibile chiederle di limitare la sua voglia di esperienze: non disdegna l’approccio del giovane rampollo camorrista (Marlon Joubert) così come la discesa negli inferi del più farabutto che demoniaco Vescovo Tesorone (Peppe Lanzetta). Cerca l’innamoramento agognato nella saggezza alcolica di uno scrittore statunitense (Gary Oldman), e una figura paterna, di cui si sente orfana, in un burbero docente di antropologia. Già, il professor Devoto Marotta, uno straordinario Silvio Orlando, termometro emotivo di Parthenope, capace di farla scoppiare in un pianto liberatorio così come di disegnarle sul volto il più sincero dei sorrisi, quello che fa brillare gli occhi, quando le svela il suo segreto…di acqua e sale.
Se la figura onnipresente e ambigua del Comandante (Alfonso Santagata) porta Parthenope a crescere consapevole dell’arroganza bonaria che avvolge ricchezza e potere, il rapporto al limite dell’incesto con il fratello Raimondo (Daniele Rienzo), e con i suoi demoni mai svelati (il cognome è Di Sangro come il Principe di Sansevero del Cristo Velato), la segnerà facendole scoprire troppo presto il tragico dell’esistenza. I sensi di colpa li farà ricadere su Sandrino (Dario Aita) rassicurante amore/non amore giovanile che svanirà simbolicamente nel momento di maggior bisogno, senza più ritornare.
Le figure femminili che Parthenope incontra lungo il suo viaggio rappresentano il bisogno umano di andare costantemente in scena: la mostruosamente debordante Greta Cool (istrionica Luisa Ranieri) si ammanta di caos, volgarità e folclore per riconquistare una fama oramai svanita sguainando una invettiva su Napoli che altro non è che un rigurgito di odio verso la sua squallida adolescenza. La diva Flora Malva (Isabella Ferrari), ritiratasi per un lifting mal riuscito, accoglie Parthenope come su un palcoscenico, con tono e postura innaturale, cambiando abito in continuazione prima di spogliarsi da ogni travestimento per abbeverarsi alla sorgente di bellezza della giovane “sirena“.
L’incantevole protagonista ha il volto etereo e strafottente di Celeste Dalla Porta, magnetica e pungente, sfuggente e intensa sia quando si maschera da “furbacchiona“, con la risposta sempre pronta, sia quando lascia spazio alle emozioni, alla gioia, allo stupore, alla perenne malinconia di uno sguardo profondo come il mare in cui nasce il personaggio che interpreta.
A 73 anni Parthenope la ritroviamo con le sembianze della sempre affascinante Stefania Sandrelli: per 40 anni lontana da Napoli è andata a letto presto, come il Noodles di De Niro, ha amato troppo poco, senza mai rinunciare alla sua libertà…a costo di abbracciare la solitudine, perché spesso libertà e solitudine vanno a braccetto e Parthenope è libera e sola, come Napoli. Ma una volta in pensione sente il bisogno di rivedere il suo passato, tornare nell’unico luogo che ha la forza di illuderla di poter “amare troppo“.
In una sorta di magia che solo il Cinema sa dare, lo sguardo malinconico della giovane Celeste Dalla Porta lo ritroviamo identico nella Sandrelli, così il sospiro di Parthenope, lo stesso sospiro che faceva da ragazza, al cospetto della sua Napoli che le regala ancora l’unico sentimento che rende vivi fino all’ultimo: la capacità di meravigliarsi.
Alla decima regia cinematografica, Paolo Sorrentino dà vita al suo lavoro più articolato e controverso. La storia di Parthenope non è semplicemente il racconto della vita di una donna, ha l’ambizione di mostrare tutto il repertorio dell’esistenza, quel “L’apparato umano” che probabilmente il Jep Gambardella de “La Grande Bellezza” aveva descritto nel suo unico romanzo.
Il regista napoletano è un narratore per immagini tra i migliori nel panorama cinematografico contemporaneo, ma allo stesso tempo ha una capacità letteraria che rende le sue sceneggiature incisive e originali. I film di Sorrentino non prevedono mezze misure nel giudizio dello spettatore: drasticamente o lo si ama o lo si odia ma impossibile che lasci indifferenti. Parthenope è un film che non può lasciare indifferenti, è irriverente e commovente, spiazzante, provocatorio e mai banale. Come Napoli.