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“Lascia perdere, Johnny!” una storia di musica e formazione per l’esordio alla regia di Fabrizio Bentivoglio

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L’esordio alla regia di Fabrizio Bentivoglio ha il fascino della leggerezza, il brio delle storie comuni che inevitabilmente sfociano nella malinconia realista. Lo spunto per mettere in scena Lascia perdere, Johnny! è venuto all’attore-regista dai ricordi delle tante serate, passate con gli amici Avion Travel, in cui il chitarrista del gruppo, Fausto Mesolella, raccontava episodi della sua vita, dei suoi inizi in maniera vivida e coinvolgente tanto da lasciarli impressi in chi li ascoltava.

Così nasce la pellicola, in una sorta di biografia che attraverso l’io narrante mescola la vita quotidiana ai sogni di un ragazzo del sud che vuole fare il musicista: è questo Fausto Ciaramella (cognome preso a prestito da un altro componente degli Avion Travel, il batterista). Abita a Caserta, da poco maggiorenne, suona la chitarra nell’orchestra del bidello Mimì Falasco grazie al suo amico ed impresario Raffaele Niro: girano tutti i paesi della Campania per feste di piazza, matrimoni e celebrazioni varie…il guadagno non è un granché ma Faustino non pretende chissà cosa perché lui adora suonare, anche se per l’orchestra di Mimì non è solo un chitarrista ma un vero e proprio factotum. Figlio unico di madre vedova, da un paio d’anni, ha bisogno di un contratto che dimostri la sua occupazione reale per certificare di essere l’unico sostentamento per sé e sua madre così da evitare l’anno di leva obbligatoria.

Lui il contratto non l’ha mai avuto, e con Raffaele Niro di questo non ne ha mai parlato…ma basta una parola e l’impresario gli dice che in poco tempo metterà le cose a posto. Al contrario le cose paiono mettersi male perché l’orchestra praticamente si scioglie quando le condizioni del maestro Falasco, passato da gran bevitore ad alcolizzato, peggiorano e oltretutto sua moglie viene a sapere delle relazioni extraconiugali da lui avute durante alcuni concerti. Come in altre occasioni l’amico Raffaele non si dimentica di Faustino e, approfittando dell’arrivo a Caserta del grande Augusto Riverberi e della sua orchestra, gli offre altro lavoro promettendogli che finalmente il sospirato contratto arriverà. Ciò che realmente arriva per Johnny (come Faustino verrà sempre chiamato da Riverberi),  con la venuta del maestro da Milano, sarà un’esperienza di vita che gli cambierà l’esistenza, un insegnamento che attraverso la musica gli parlerà di come è fatto e di come va il mondo in cui vuole lavorare.

Se la prima parte di Lascia perdere, Johnny! è brillante e a tratti spassosa, la seconda  è introspettiva, quasi triste e il cambio di registro è probabilmente uno dei pregi di questa opera che forse difetta negli aspetti strettamente tecnici anche per la genuinità data al racconto. Difatti la narrazione, nonostante la voce di accompagnamento, mette forza alla storia mostrando quasi l’anima del protagonista, creando così una simbiosi con lo spettatore; proprio dal modo in cui è stato sceneggiato il film, risulta evidente che si tratti di vita vissuta. Bentivoglio dirige da attore, e quando ti trovi di fronte a certe interpretazioni una certa differenza la avverti: sembra quasi che accompagni i colleghi nelle loro battute, che gli mostri la strada, e in ogni caso è a loro che dà assoluta importanza minimizzando i fronzoli o i particolari che un certo tipo di cinema autoriale riesce ad esaltare, con la maestria dell’utilizzo della macchina da presa.

Per la prima volta sullo schermo Antimo Merolillo, nel ruolo del protagonista, è bravissimo e spontaneo all’inverosimile; probabile che oltre a Fabrizio Bentivoglio parte del merito della sua spontaneità vada anche al cast che aveva attorno, tutto di livello egregio. Per cominciare, il regista si ritaglia la parte di Augusto Riverberi (sintesi affettuosamente ironica tra Reverberi e Martelli, figure storiche della musica leggera italiana degli anni 60) e si cala come al solito nel personaggio con straordinaria intensità dandogli quei tic e quella stravagante filosofia di vita che caratterizza molti artisti. Lina Sastri e Valeria Golino mostrano due immaginari femminili che paiono agli antipodi, eppure entrambi risultano decisivi per la maturità emozionale e sentimentale di Faustino, la prima in quanto madre, la seconda come donna dei sogni di cui si è innamorati, e lo fanno con estrema naturalezza e trasporto. Ernesto Mahieux, nei panni dell’impresario Raffaele Niro, conferma di essere un buon attore, riesce a far suo ogni personaggio non interpretandolo a dispetto della sua corporatura ma rendendolo speciale e unico proprio grazie alla fisicità della sua recitazione, brillante e malinconica all’occorrenza.

La carrellata sul cast deve per forza di cose concludersi con il plauso inevitabile ai fratelli Servillo: Peppe, cantante degli Avion Travel, è perfetto come Gerry Como, il crooner casereccio presentato da Niro a Riverberi, e, a parte la voce magnifica che già conoscevamo, è bravo nell’espressività del suo personaggio, nel renderlo impacciato e sempre in balia degli eventi, sicuro solo se messo davanti ad un microfono; Toni Servillo è ancora una volta eccellente, riesce a stupire ad ogni interpretazione, e anche in un piccolo ruolo come quello del bidello-maestro d’orchestra Mimì Falasco diventa emblematico per la storia, per come mostra la saggezza devastante e pessimista di quest’uomo, che altri non è che uno dei tanti vinti di novecentesca memoria.

Quello da cui, ad ogni modo, non si può prescindere parlando di questo film è dare il giusto merito a chi questa storia non solo l’ha vissuta ma l’ha saputa anche raccontare incorniciandola con i particolari delle sue emozioni e dello stile di vita di quegli anni: Fausto Mesolella è un ottimo chitarrista (come dimostrato dalla toccante colonna sonora della pellicola), un artista fuori da generi predefiniti che ha trovato dalla metà degli anni ’80 la sua dimensione ideale nella Piccola Orchestra Avion Travel, ma non per questo ha disdegnato e disdegna collaborazioni con colleghi tra i più disparati, da Gianna Nannini a Samuele Bersani, da Andrea Bocelli a Gianmaria Testa, da Giorgio Conte a Nada. 

Lascia perdere, Johnny! è un film ben riuscito perché, al suo esordio, Fabrizio Bentivoglio si è affidato al minimalismo, al racconto della storia di un amico, e si è circondato di un gruppo di amiche ed amici che mettessero in scena la sua opera così come voleva lui…fortuna ha voluto che per amici avesse attori straordinari, come lui.

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