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EROI PERDUTI di Lorenzo Giroffi

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In quello schifo una cosa l’ho imparata: resistenza, e mó nun m’o voglio scurdá

Giacinto è in Etiopia. La sua vita da contadino nella provincia di Caserta l’ha portato a cercare avventura. Prima il fascismo e poi la PAI, il corpo della Polizia d’Africa Italiana. Militare per conto del Re nelle colonie volute dal regime di Mussolini. Giacinto è partito convinto dagli ideali, ma soprattutto dalla forza del viaggio. Invece si ritrova al cospetto di campi sterminati, di violenze, torture, bombe al gas, tradimenti e trincee scavate a mano. Le imboscate subite sono tante. La resistenza ascari è ben organizzata. Giacinto vede crollare poco a poco le convinzioni con le quali è partito. Giacinto scambia chiacchiere con un ragazzo come lui, etiope, arruolato dal fascismo. Con Amin chiacchiera in prima linea. Giacinto poi denuncia Amin, perché solo di facciata era agli ordini della PAI. È una spia. Giacinto assiste al suo interrogatorio a suon di percosse. In quel momento il fascismo per lui diventa solo abuso e la resistenza un valore che non aveva mai considerato così romantico. Giacinto con la sconfitta in Etiopia resta qualche mese in clandestinità.

Grazie ad uno scambio di prigionieri con gli inglesi riesce a rientrare in Italia. Giacinto è provato dall’esperienza al fronte, ma lo è anche Maria, sua la giovane sposa. Lei ha conosciuto Raffaele, il nuovo impiegato delle poste. Raffaele è spigoloso, bello, spavaldo. Non è una storia di sesso o tradimento. Si tratta di politica. Giacinto scopre l’equivoco. Maria frequenta il gruppo di partigiani clandestini in paese. Finito l’orario di apertura al pubblico, l’ufficio postale diventa il teatro d’incontri segreti. Giacinto affronta Raffaele. Il giovane comunista tratta con sufficienza e rabbia il fascista rientrato dal fronte, invece poi assieme studiano un’azione di sabotaggio al nazifascismo. La fine di Giacinto resta un mistero, come quella di tanti eroi perduti.

Il regista Lorenzo Giroffi e l’idea di “Eroi perduti

Ero a raccontare un conflitto armato, che nei reportage è sempre e solo una parte di un contesto più grande. In postazione c’era un uomo poco più che trentenne, prendeva la mira e con vergogna ricordava un suo vicino di casa, dall’altra parte della trincea, all’improvviso divenuto un nemico. In quel momento nasce l’idea di Eroi Perduti, nella voglia di raccontare il pudore della guerra, che non ha nulla di eroico quando la si guarda da vicino. Potendo utilizzare la fantasia ho voluto pescare un pezzo di storia che forse per la stessa vergogna viene raccontata poco: la colonizzazione italiana.

Mettere in scena la guerra in genere è azione, però a me è piaciuto farlo da una trincea, schiacciati a terra, dalla quale non si vede nulla, se non i propri dissidi interni. Bisognava raccontare la provincia italiana del protagonista e l’Etiopia della colonizzazione, gli anni 40’. Camigliano è stata la location perfetta, perché piena di suggestioni per gli altopiani che ci servivano e ricca di cimeli di quegli anni. I punti macchina li ho scelti nei sopralluoghi, non si poteva esagerare con le aperture di campo, perché gli occhi del nostro protagonista non volevano l’immensità.

I suoni spogli raccontano quella che è anche la noia della guerra, i dettagli i segni della violenza. Il protagonista in Etiopia lo vediamo nella sua interezza solo quando guarda con lucidità le violenze fatte ad un prigioniero politico. Le luci ed i colori sono frutti di una ricerca fatta sul campo con tutta la squadra, per non andare mai fuori i binari di una coerenza cromatica e di un racconto intimo.

Guarda “Eroi perduti” sul sito di Lunia Film

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