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CAINA di Stefano Amatucci, film visionario su razzismo e immigrazione

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Un’opera estrema e coraggiosa già apprezzata all’estero

Dopo l’importante successo internazionale di critica e pubblico approda nelle sale italiane ‘Caina’, esordio cinematografico per Stefano Amatucci che, dopo una lunga esperienza come regista televisivo, Un posto al sole e La squadra, firma un lavoro estremo e coraggioso sul delicato tema dell’immigrazione selvaggia, degli interessi connessi e del più becero razzismo. 

In un presente visionario e spaventoso, sulle spiagge di un generico Mediterraneo, si consuma la vicenda di Caina, una donna con un passato da killer su commissione: uccideva con freddezza e agiva con disprezzo, era specializzata nell’ammazzare i migranti, perché il suo è un animo xenofobo, violento e con un odio viscerale per tutto ciò che non appartiene alla sua lingua, alla sua razza e soprattutto alla sua religione. Incarna, infatti, i luoghi comuni e le paure di chi ha una rozza visione dell’Islam.

Ora lei passa le notti in spiaggia dove fa un mestiere particolare, la “trovacadaveri”: il suo compito è quello di raccogliere tutte le spoglie dei migranti annegati che dall’Africa cercano di arrivare in Italia e che il mare riversa sulla riva. Sente i morti parlare, avere paura, lamentarsi, ne ascolta le sofferenze, le angosce, le delusioni. I cadaveri arenati vengono eliminati sciogliendoli nel cemento in un centro di smaltimento statale. Guadagna 15 soldi al lordo, su ogni annegato.

Nahiri, tunisino, anche lui fa il “trovacadaveri”, ma è abusivo. Insieme ad un gruppo di immigrati irregolari, per sopravvivere, va in giro rubando dalle rive i corpi dei naufraghi, vendendoli sottobanco al centro di smaltimento grazie alla connivenza della sua dirigente, l’anziana signora Ziviello, che opera nel malaffare. La merce è difficile da recuperare, così gli abusivi decidono di annegare a mare i migranti che arrivano vivi. Nahiri non ci sta e abbandona il gruppo offrendosi di lavorare per Caina sottomettendosi a essa. Si scrutano diffidenti, si annusano come belve in un rapporto vittima-carnefice che scatena tra i due una guerra di civiltà che li fa vivere nella costante paura degli altri “trovacadaveri”.

Una realtà distopica per raccontare la tragedia dell’immigrazione e il razzismo diffuso

Il film di Amatucci è crudo, atroce, utilizza una realtà distopica e surreale per narrare razzismo e xenofobia, tanto diffusi nella società contemporanea, così come il business enorme che c’è dietro la tragedia dell’immigrazione. Il personaggio della protagonista è una sorta di sacerdotessa della morte, che diffonde la sua omelia in mezzo a cadaveri, fantasmi che talvolta le rispondono. Liberamente ispirato dall’omonimo romanzo di Davide Morganti – che ha collaborato alla sceneggiatura – ‘Caina’ è un film visionario che parla di odio misto a paura, interpretato da una eccezionale, quasi demoniaca, Luisa Amatucci nei panni della protagonista; un tenero e, per certi versi, fragile Helmi Dridi molto bravo a ricoprire il ruolo di Nahiri; Gabriele Saurio interprete realistico del cinico Taurul e un’impagabile Isa Danieli, nei panni della perfida Signora Ziviello.

Significative le parole che il regista Stefano Amatucci ha utilizzato per raccontare il suo film:

L’idea del film nacque nel 2009, la sceneggiatura nel 2010. Una notizia di cronaca mi colpì molto: la preoccupazione di un sindaco per gli sbarchi che avrebbero rovinato la stagione estiva. Nessuna percezione della tragedia umana. All’epoca, l’immigrazione non era un argomento che interessava particolarmente l’opinione pubblica e i media. Io cominciai ad approfondirlo e in breve tempo mi si è aperto un mondo: l’Italia e l’Europa erano sedute su un serbatoio esplosivo e non bisognava essere particolarmente geniali per intuirlo.

Poi lessi ‘Caina’ di Davide Morganti, mi folgorò soprattutto la protagonista del romanzo: la vedevo esistere realmente, intorno a me, per strada, nei negozi, in tv, sui social. Caina, purtroppo, esisteva ed esiste, eccome se esiste! Probabilmente sentivo in cuor mio l’esigenza potente, dopo anni di televisione e di televisione commerciale, di dedicare uno spazio della mia vita e della mia creatività ad una riflessione profonda e radicale, senza preconcetti né timori. Con Morganti abbiamo quindi scritto uno spin-off ispirandoci alla sua protagonista: facendole vivere una storia, sì tragica, ma calata in una realtà distopica, visionaria, allucinata.

Una storia che racchiude le angosce dell’uomo comune e la sua ordinaria follia. L’emigrazione, il razzismo e la xenofobia sono diventati una delle malattie, del nostro tempo. Tempo in cui, si stanno rialzando frontiere ancora più invalicabili e incomunicabili.

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