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NERO – il coraggioso e sorprendente esordio registico di Giovanni Esposito

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Il miracolo oscuro dell’anima – “Nero” è un viaggio mistico tra redenzione e dannazione

Con Nero”, Giovanni Esposito compie un passo audace e inconsueto: lascia momentaneamente il solo ruolo d’attore (prevalentemente comico) per esordire dietro la macchina da presa, firmando un’opera prima intensa, ruvida, poetica e visceralmente radicata in una geografia dell’anima che ha il volto martoriato del litorale domizio e il cuore insanguinato della periferia morale italiana.

È un film che pulsa del respiro e dell’atmosfera del miglior Cinema di Edoardo De Angelis, in quella Castevolturno dove lo squallore nasconde la più profonda umanità e accoglienza incondizionata. Probabilmente non a caso proprio con il regista di “Indivisibili“, nel 2007, Esposito aveva cominciato ad intrecciare il destino artistico nel sorprendente cortometraggio Mistero e passione di Gino Pacino.

Oggi, quel mistero, con storia e narrazione differenti, sembra tornare a esplodere con “Nero” in forma di parabola grottesca e spirituale, incastonata nella crudezza del reale.

Un noir metafisico sospeso tra detersivi e miracoli

La vicenda di Nero, piccolo delinquente dal cuore tragico interpretato dallo stesso Esposito con un’intensità che rasenta l’autosacrificio attoriale, si muove sui binari di un noir che vira presto verso il surreale. L’incidente che dà il via alla storia – un colpo sparato per sbaglio, un uomo dichiarato morto che torna in vita – innesca una riflessione più grande sulla grazia, la fede e il corpo come strumento di redenzione. È in quel supermercato, dominato dalla presenza della “Madonna dei detersivi”, che la narrazione devia, abbracciando un realismo magico dalle tinte mariane, che pare uscito da un sogno febbricitante.

La scrittura, firmata da Esposito insieme a Valentina Farinaccio e Francesco Prisco (anche supervisore artistico), non ha timore di osare: costruisce un racconto denso, stratificato, che mescola microcriminalità e misticismo, grottesco e tragedia, mantenendo sempre un equilibrio precario ma affascinante. Un equilibrio che si riflette nella regia, mai didascalica, e in una messa in scena potente e simbolica.

Il corpo martire: Susy Del Giudice e la santità dell’espressione

Accanto a Esposito, una stupefacente Susy Del Giudice dà vita alla sorella Imma, figura muta e quasi sacrale, un corpo che parla con gli occhi e con i gesti, attraversato da una fragilità che commuove senza scivolare nel patetico. L’attrice, che ha studiato a lungo l’universo dell’autismo per questo ruolo, compone una performance che è quasi danza, un contrappunto silenzioso ma centrale all’epopea spirituale del protagonista.

E mentre Nero scopre in sé il potere di guarire – a caro prezzo, consumando i propri cinque sensi come un novello Cristo della periferia – il film si trasforma in una riflessione sull’identità e sul sacrificio, su quanto siamo disposti a perdere per fare del bene agli altri. Il personaggio del poliziotto Abate (Giovanni Calcagno) incarna perfettamente il confine tra fede e disperazione, rendendo ancora più sfumata la distinzione tra giusto e sbagliato, umano e divino.

Cast e tecnica: un affresco corale tra luce e penombra

Attorno ai protagonisti ruota un cast di comprimari che amplificano il tono corale della narrazione: dalla presenza iconica di Peppe Lanzetta e Cristina Donadio, alla emblematica, incisiva e dolente partecipazione di Alessandro Haber, fino al cameo ambiguamente clericale di Roberto de Francesco e alla bravissima Anbeta Toromani, termometro umorale del protagonista. Meritano di essere menzionati anche Marius Bizau, Riccardo Ciccarelli, Emmanuel Dabone, Gennaro Di Biase, Vittorio Ciorcalo. Ognuno di loro contribuisce a costruire, in quest’opera, un affresco umano che pulsa di vita e contraddizione.

Il comparto tecnico eleva ulteriormente il film: la fotografia di Daniele Ciprì è straordinaria nel cogliere la bellezza nascosta del degrado, in una luce che accarezza il volto dei dannati come se li volesse redimere. Le scenografie di Luigi Ferrigno e i costumi di Rossella Aprea danno corpo a un mondo credibile e iperreale al tempo stesso. Il montaggio di Lorenzo Peluso mantiene una tensione narrativa costante, mentre le musiche originali, a tinte western, di Giordano Corapi, assieme a brani come la magnifica Felicità di Lucio Dalla e The Storm (composta da Esposito con Elio Manzo), stratificano ulteriormente il tono onirico e drammatico dell’opera.

Un esordio imprevedibile e folgorante

Nero non è certo un film perfetto, e, forse, proprio per questo è ancor più prezioso. In un panorama cinematografico spesso appiattito da formule narrative preconfezionate, l’opera di Giovanni Esposito ha il coraggio dell’originalità, dell’ambizione, dell’eccesso visionario di un Cinema che racconta storie.

Prodotto da Bartlebyfilm, Run Film, Pepito e Rai Cinema, “Nero” è un film che brucia, che osa, che cade e si rialza, come il suo protagonista. E che ci ricorda quanto la Settima Arte, quando è autentica, può ancora sorprendere…come un miracolo tra gli scaffali di un discount.

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