Totò e la sua Napoli, la mostra: il Principe torna a casa, tra arte, poesia e malinconia

Mostra “Totò e la sua Napoli” a Palazzo Reale
Foto: Stefano Renna
È un ritorno atteso, quasi inevitabile, in quello che pare un minimo risarcimento per un Museo che non è mai stato fatto. A più di cinquant’anni dalla sua scomparsa, Antonio de Curtis, in arte Totò, torna nella sua città in quella che non è solo una mostra, ma un abbraccio collettivo. Dal 31 ottobre 2025 al 25 gennaio 2026, nella Sala Belvedere di Palazzo Reale, si apre Totò e la sua Napoli, un percorso espositivo che racconta l’attore, il poeta, il napoletano, e soprattutto l’uomo che ha saputo trasformare la comicità in una forma di verità.
L’iniziativa, promossa dal Comitato Nazionale Neapolis 2500 con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Palazzo Reale di Napoli (MiC), e la partecipazione degli Eredi Totò, è curata da Alessandro Nicosia e Marino Niola, in collaborazione con Rai Teche e Archivio Storico Luce. Una produzione C.O.R. che si inserisce nelle celebrazioni dei 2500 anni della fondazione di Neapolis, ma che va ben oltre l’anniversario: è un ritratto identitario di una città e del suo più grande interprete.


Totò e Napoli: un legame inscindibile
“È impossibile parlare di Totò senza parlare di Napoli”, scrive Niola. Ed è vero: il comico, il principe, il poeta – “uno, nessuno e centomila” per citare Pirandello – si specchia nella città che lo ha generato, una Napoli “popolata di marionette stralunate, di parole in libertà, di personaggi in cerca d’autore”.
In questo gioco di specchi, la mostra diventa un racconto circolare. Le sezioni tematiche — Le origini, Il Rione Sanità, Il teatro, Le canzoni, Il cinema, Le poesie, Un maestro insostituibile, Totò e le bellezze della sua Napoli, Il saluto della sua Napoli — costruiscono una drammaturgia della memoria. Foto inedite, manifesti, costumi di scena, materiali d’archivio, installazioni multimediali e persino la voce commossa di Nino Taranto, che il 17 aprile 1967 lesse l’orazione funebre davanti a centomila napoletani in lacrime, accompagnano il visitatore in un viaggio emozionale.

Il Principe e la sua lingua
Totò amava dire: “Non sono uno scrittore, sono un napoletano. Tutti i napoletani, in un modo o nell’altro, sono poeti”. La sua comicità nasceva da quella lingua viva e pulsante che non è un dialetto, ma “una lingua più lingua della lingua italiana”.
In mostra, questa visione prende corpo nelle sezioni dedicate al teatro e alle poesie, dove si ritrova l’uomo dietro la maschera: malinconico, ironico, profondamente umano.


Un mito universale
Per Niola, curatore della mostra, Totò “riassume le mille identità di una Napoli che diventa teatro universale, grande metafora della condizione umana”. È il comico che, con una smorfia o una battuta (“Ma mi faccia il piacere!”), sa rivelare le fragilità del mondo. È la maschera che parla di tutti e a tutti.
La mostra si chiude con un messaggio che è anche un ponte: dopo Napoli, l’esposizione volerà a New York, città simbolo dell’altra Napoli nel mondo. Un viaggio che prosegue, idealmente, quello iniziato dal Principe che seppe portare l’ironia partenopea ben oltre i confini del Golfo.

“Ogni volta che devo parlare di questa mia meravigliosa città divento napolantico”, diceva Totò, inventando una parola che è già poesia. E questa mostra, in fondo, è proprio così: napolantica.
Nostalgica e viva, comica e tragica, come la città che l’ha cresciuto e che continua ad amarlo senza riserve. Totò non è mai andato via. Ha solo cambiato scena.





















