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“Nottefonda” di Giuseppe Miale Di Mauro, il buio di un dolore da cui si può riemergere

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Con Nottefonda, Giuseppe Miale Di Mauro porta sullo schermo la propria opera letteraria La strada degli americani, scegliendo di rielaborarla in chiave intima e cinematografica, più che di adattarla. Il risultato è un film di grande intensità emotiva, un dramma sul lutto e la sopravvivenza che si muove tra le tenebre di una Napoli notturna, sospesa tra realismo e allucinazione.

Ciro (un intenso Francesco Di Leva), dopo la morte della moglie in un incidente stradale, si perde in una spirale di ossessione e autodistruzione. Ogni notte, con il figlio tredicenne Luigi (Mario Di Leva), cerca invano l’auto rossa che ha investito la donna, in una caccia disperata e metaforica, più interiore che reale. Il ragazzo diventa l’argine fragile eppure saldo contro la deriva del padre, una coscienza costante con cui fare i conti, una presenza necessaria nel purgatorio attraversato dall’uomo.

Miale Di Mauro – alla sua prima regia cinematografica dopo un lungo percorso teatrale con il NEST / Napoli Est Teatro di cui è uno dei fondatori – costruisce un racconto asciutto, viscerale, in cui la notte è più di un contesto: è uno stato dell’anima. La fotografia di Michele D’Attanasio disegna una Napoli lontana dai cliché, fatta di zone industriali, cavalcavia, gru e sabbia vulcanica, dove il mare d’inverno riflette il tormento dei protagonisti. È una città quasi “nordica”, come la definisce lo stesso regista, depurata da ogni folclore per diventare metafora universale del dolore.

Il film si muove nel solco di un neorealismo emozionale che ricorda, per atmosfere e rigore visivo, il Belfast di Kenneth Branagh – esplicita fonte d’ispirazione dichiarata. La macchina da presa resta spesso fissa, aderente ai volti, nel tentativo di penetrare la fatica, il sudore, la disperazione dei personaggi, più che raccontarne gli eventi. Il rapporto tra padre e figlio – autentico anche nella vita reale – diventa il cuore pulsante di Nottefonda. Francesco e Mario Di Leva offrono una prova di rara verità, costruita su sguardi, silenzi, gesti minimi.

Attorno a loro ruota un cast corale che restituisce la dimensione collettiva del dolore: Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Dora Romano e Chiara Celotto danno corpo a una Napoli ferita ma umana, solidale, ancora capace di offrire mani tese nell’oscurità. Liberamente tratto dal romanzo La strada degli americani, Nottefonda sceglie una via autonoma, meno cupa e più aperta alla speranza rispetto al libro. Se nella pagina scritta il destino di Ciro era segnato, sullo schermo si intravede un’alba – pallida ma possibile – che restituisce all’uomo un barlume di redenzione. È un gesto di fiducia, forse anche un atto politico, quello di Miale Di Mauro: credere che, nonostante tutto, dal dolore si possa riemergere.

Prodotto da Mad Entertainment e Rai Cinema, Nottefonda è un’opera prima che colpisce per maturità e coerenza stilistica. Un film che non cerca il compiacimento del dramma, ma il suo battito più vero: quello che nasce nel buio e si dissolve solo all’alba, quando resta un sorriso stanco, ma vivo. Un esordio potente che racconta la disperazione senza indulgere nel patetico e trova nella notte napoletana una luce universale.

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