“Noi Non Siamo Napoletani”, Napoli raccontata da chi ha scelto di viverci
Le storie di chi, arrivato a Napoli, non se n’è più voluto andare
C’è una frase che Gianluca Vitiello, voce nota di Radio Deejay e regista, ha spesso ripetuto nelle interviste: “Napoli non si spiega, si vive.” Il suo nuovo documentario, Noi Non Siamo Napoletani, parte proprio da questa consapevolezza, ribaltando però il punto di vista.
Dopo aver raccontato, con Napolitaners (2017), i napoletani sparsi per il mondo, questa volta Vitiello torna nella sua città per far parlare chi a Napoli è arrivato, non chi l’ha lasciata.
Il titolo, volutamente provocatorio, nasce da un famigerato coro da stadio – “noi non siamo napoletani” – trasformato da offesa in dichiarazione identitaria, o meglio, in chiave di lettura: non essere napoletani non significa rifiutare la città, ma guardarla da un’angolazione diversa, meno filtrata, più lucida e affettiva insieme.


Una Napoli attraversata, non rappresentata
In circa settanta minuti, Noi Non Siamo Napoletani costruisce un mosaico di voci e volti provenienti da ogni parte del mondo: Giappone, Nigeria, Germania, Palestina, Stati Uniti, Cina, Bielorussia, Serbia così come da altre regioni italiane. C’è chi è arrivato per amore, chi per lavoro, chi per caso. Tutti, però, hanno trovato nella città un orizzonte emotivo, un luogo di resistenza e rinascita.
Vitiello sceglie un linguaggio diretto, essenziale, privo di orpelli, una raccolta di testimonianze sincere. L’impianto è documentaristico ma con una spiccata attenzione narrativa: le storie scorrono rapide, ma lasciano traccia. Gli interni domestici, i vicoli, il mare, i suoni della città diventano cornice e controcanto di un racconto corale in cui il regista non interviene mai direttamente, ma accompagna con discrezione sia con la macchina da presa che con gli intermezzi narrati.
È una Napoli che non pretende di essere capita: una città contraddittoria, accogliente e feroce, che si lascia attraversare e osservare, ma che sfugge a ogni definizione. Lo sguardo di Vitiello evita la trappola dell’estetizzazione turistica e restituisce invece un’immagine autentica, costruita sull’empatia e sull’ascolto.


Dai “Napolitaners” ai “non” napoletani
Il confronto con Napolitaners è inevitabile. Quel film era un ritratto affettuoso e nostalgico della moderna migrazione napoletana: uomini e donne che, partiti, portavano con sé la città nel modo di vivere, parlare, cucinare. Era un film sull’identità che resta. Noi Non Siamo Napoletani, invece, è l’altra faccia della medaglia: non chi parte, ma chi arriva; non la memoria, ma la scoperta. Se il primo film era costruito sulla distanza geografica, questo è tutto giocato sulla prossimità. La macchina da presa non viaggia, resta ferma a Napoli, ma lascia viaggiare gli sguardi. È un cambio di paradigma e di tono: più intimo, più politico, anche se mai dichiaratamente militante.
Vitiello non racconta “la Napoli degli altri” per fare sociologia, ma per interrogare sé stesso e il concetto di appartenenza. In questo senso, il titolo si fa manifesto: il “noi” include, non esclude; ridefinisce il senso stesso di napoletanità, facendone non un’origine ma una scelta….una scelta che rigenera chi accoglie, chi ha la capacità di intrecciare mondi e culture differenti. La pluralità di questi “neo napoletani” non prevede solo il migrante economico o “affettivo”, ma anche l’artista statunitense Jimmie Durham, che ha vissuto la città come grande fonte d’ispirazione perché “folle e piena di problemi”. Il documentario è dedicato proprio a Durham, scomparso nel 2021.


Musica, ritmo e leggerezza
La colonna sonora originale di Simone Paleari, arricchita da brani come “Doce ’e Sale” e “L’Unica” di Gabriele Esposito, accompagna con delicatezza il flusso visivo. È una presenza discreta, quasi un respiro che unisce le testimonianze senza sovrastarle. Con la chicca del tango scugnizzo di Diego Moreno.
Il ritmo del montaggio è vivace ma mai frenetico: ogni storia ha il tempo di un gesto, di una frase, di uno sguardo. È cinema dell’ascolto, non dell’enfasi. E questa leggerezza – che altrove potrebbe apparire come superficialità – qui diventa una forma di rispetto verso i protagonisti e verso la città stessa.

Un documentario di sguardi
Il punto di forza del film è proprio lo sguardo. Non tanto quello del regista, quanto quello dei suoi protagonisti. C’è una reciprocità tra chi filma e chi è filmato: la camera diventa un luogo d’incontro, uno spazio condiviso. Vitiello non “ruba” immagini, ma costruisce relazioni, e questo si percepisce in ogni fotogramma. In fondo, Noi Non Siamo Napoletani parla meno di Napoli e più del modo in cui la guardiamo. La città diventa specchio, metafora, occasione di dialogo tra identità.
Noi Non Siamo Napoletani é un film piccolo nelle dimensioni ma grande nelle intenzioni. È un atto d’amore verso la diversità, un racconto corale che celebra la possibilità di appartenere a un luogo non per nascita ma per scelta. Un documentario che emoziona senza retorica, che guarda alla città come a un corpo vivo e imperfetto, attraversato da chi la ama proprio perché non gli appartiene del tutto.




