Dall’8 maggio al cinema “Nottefonda” di Giuseppe Miale Di Mauro con Francesco e Mario Di Leva
Esce al cinema l’8 maggio, distribuito da Luce Cinecittà, il film “Nottefonda” di Giuseppe Miale Di Mauro, liberamente tratto dal suo romanzo La Strada degli Americani (edito da Frassinelli), scritto dallo stesso regista con Bruno Oliviero e Francesco Di Leva, che ne è anche protagonista insieme al figlio Mario Di Leva.
Prodotto da Maria Carolina Terzi, Luciano Stella, Carlo e Lorenza Stella per Mad Entertainment con Rai Cinema in associazione con Leocadia,”Nottefonda” può essere definita una creatura dello straordinario progetto teatrale che va sotto il nome di Nest, Napoli Est Teatro. Infatti non solo il film è stato girato per lo più a San Giovanni a Teduccio, zona in cui sorge il teatro in questione, ma vede tra gli interpreti Adriano Pantaleo e Giuseppe Gaudino, fondatori del NEST con il regista Giuseppe Miale Di Mauro e il protagonista Francesco Di Leva.


L’intensità emotiva della storia raccontata in “Nottefonda” regge principalmente sul rapporto tra il personaggio di Ciro con suo figlio Luigi, e non poteva esserci scelta più azzeccata di Francesco e Mario Di Leva per interpretarli, perché oltre all’alchimia e al realismo evidenti durante i loro scambi di battute, è ammirevole e commovente la capacità nel mostrare il mutamento espressivo conseguente agli eventi che gli hanno cambiato la vita.
A completare il cast le bravissime Dora Romano, Chiara Celotto e Valeria Colombo.

La trama
Ciro è un uomo allo sbando e disperato che dopo la perdita della moglie, in un tragico incidente stradale, si ritrova incapace a elaborare il lutto in una Napoli periferica, notturna e dolente, tra strade poco frequentate e spesso illuminate solo dai fanali delle auto, dove si ostina a voler trovare a ogni costo il pirata della strada che l’ha investita e uccisa, di notte.
Ogni sera, da un anno, col figlio tredicenne Luigi, cerca la vettura rossa del responsabile dell’incidente mortale. In questa ricerca ha perduto sé stesso, il senso del tempo e la possibilità di far vivere una vita normale a suo figlio, un ragazzino costretto a crescere in fretta per trattenere il padre dalla discesa negli inferi.
La perdita, che ha sconvolto Ciro tanto da spingerlo all’uso di stupefacenti, coinvolge anche sua madre e due suoi amici di vecchia data, Rosario e Carmine che cercano di aiutarlo a ricominciare a vivere.

“Sono partito dal libro per costruire una nuova storia” – il regista e scrittore Giuseppe Miale Di Mauro su NOTTEFONDA
“Vorrei raccontare il dolore di un uomo che aveva tutto e all’improvviso non ha più niente”. Questa è stata la mia risposta a Bruno Oliviero quando mi ha chiesto cosa volessi raccontare con questo film. Ci ho messo un po’ a capirlo. Questa storia è dentro di me da molto tempo, ormai. Ho scritto il romanzo (La strada degli americani) qualche anno fa e da allora l’ho raccontato nelle molteplici presentazioni che si sono susseguite. Fino a non poterne più, come accade spesso a chi racconta storie.
Poi ho capito che il libro poteva diventare una scatola da cui raccogliere pezzi per costruire una nuova storia. Così mi sono concentrato a raccontare la storia di un uomo disperato, in lotta perenne con la sua ferita inguaribile. Un uomo che aveva tutto e all’improvviso non ha più niente, appunto. Un uomo costretto a elaborare un lutto difficile da superare e che lo fa attraverso notti infernali – tutte uguali – alla ricerca di un colpevole introvabile. Un uomo che ha affidato al crack la panacea di una realtà divenuta insopportabile e che sopravvive di allucinazioni emotive.


Volevo avere un film guida che ispirasse stilisticamente questa mia prima avventura cinematografica. Ne ho visti a centinaia e ho cambiato mille volte idea, ma poi alla fine l’ho trovato: Belfast di Kenneth Branagh. Ho capito che volevo raccontare Napoli come una città universale dove collocare il mio protagonista e la sua storia umana. Farlo vagare in una città notturna, piena di gru del porto, di rumori di muletti in azione, di container pronti a partire, di sabbia nera del vulcano e mare grigio d’inverno, di cavalcavia isolati e di strade periferiche e buie. E poi un’auto, quella di Ciro, che le percorre. Sullo sfondo: il Natale che illumina le case degli altri e mette tristezza a chi non ha niente da festeggiare.
La macchina da presa fissa, senza orpelli o esercizi di stile, inquadrature strette sui volti dei protagonisti (padre e figlio anche nella vita) per catturarne emotività e fragilità, cercando di lasciare fuori dalla narrazione ogni spiegazione, ogni naturalismo. M’interessava solo guardare da molto vicino lo sforzo di quest’uomo che combatte contro sé stesso per attraversare la sua bizzarra elaborazione del lutto. Stare con lui, sempre con lui, sulla sua faccia livida e i suoi capelli radi, segni evidenti di dolore e disperazione. Fino all’alba che – finalmente – lo libererà dal supplizio con un sorriso di pianto.
