CIAO BAMBINO – al cinema l’esordio alla regia di Edgardo Pistone premiato alla Festa del Cinema di Roma
Arriva nei cinema, distribuito da Minerva Pictures, “Ciao bambino” esordio alla regia in un lungometraggio per Edgardo Pistone. Il regista napoletano è già conosciuto ed apprezzato per i suoi cortometraggi, in particolare per “Le Mosche“, del 2020, con cui è stato premiato per la Miglior Regia alla Settimana Internazionale Della Critica Sic@Sic all’interno della 77esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2024, dove ha ricevuto il riconoscimento come Migliore Opera Prima, “Ciao bambino“, scritto dal regista con Ivan Ferone, è un film sull’amicizia, l’amore e la sopravvivenza, interpretato da Marco Adamo, Anastasia Kaletchuk, Luciano Pistone, Pasquale Esposito, Salvatore Pelliccia, Sergio Minucci, Luciano Gigante, Attilio Peluso, Antonio Cirillo, Rosalia Zinno, e prodotto da Bronx Film, Anemone Film, Mosaicon Film, Minerva Pictures Group.

La trama
“Ciao bambino” racconta la storia di Attilio, un uomo-bambino di un rione popolare di Napoli che vuole e deve crescere, non importa se più o meno velocemente di quanto sia necessario.
Sul finire dell’estate dei suoi diciannove anni, viene incaricato di proteggere una giovane prostituta dell’Est.
Il ragazzo, senza poterlo ammettere apertamente, se ne innamora.
Quando però il padre esce dal carcere ed è costretto a ripagare un debito consistente, Attilio si trova a scegliere tra l’amore per la ragazza e quello per il padre, mettendo in gioco la sua libertà e la sua vita fino a quel momento.

Ciao bambino nelle parole del regista Edgardo Pistone
Ho avuto la fortuna di avere una macchina abbandonata sotto casa, al centro di alcune palazzine popolari, che diventava per noi della banda un covo, un salotto, una stanza che ci riparava dal freddo e dal mondo attorno: le prime sigarette, racconti sui fantasmi o di biografie adulte che sembravano più rocambolesche delle nostre, le partite a carte, lo sguardo sul futuro che non preoccupava nessuno, perché nessuno poteva immaginarlo. Allora la musica della musicassetta neomelodica abbandonata anch’essa nell’autoradio parlava solo di amori impossibili e lontani, come i nostri sogni.
La macchina era di un uomo adulto, uno del nostro quartiere, figura grottesca e funesta che vendeva i fuochi d’artificio a Capodanno, le pannocchie in estate, le mimose per la festa della donna, raccoglieva spazzatura per rivenderla al mercato delle pulci, un uomo che prendeva a morsi la vita e quindi un uomo che aveva perso la voglia di scherzare.

Come in qualsiasi biografia si deve crescere e l’idillio dell’adolescenza svanisce. Così come passò la voglia di scherzare anche a me che poco più di un adolescente decisi di voler “salvare” mio padre dai suoi demoni e dai suoi vizi, pretesi da quell’adolescente di diventare grande attraverso questo principio: devo aiutare mio padre. Ma sono passati tanti anni, anni di falsi inizi e promesse non mantenute, quindi ci ho riprovato con il film, con “Ciao Bambino”, come un Amleto senza Shakespeare, ho messo in scena i nostri ricordi utilizzando lui come attore e la nostra vicenda con la speranza di ritrovare una qualche forma di catarsi, a lui serviva per avere uno sguardo esterno a me per comprendere le difficoltà di questa nevrosi e liberare anche me da questa responsabilità. Lo stile cinematografico, te lo impone: mettere in bella copia i drammi.
Usare la menzogna non nei contenuti ma nella forma. Il film insiste su questo ragionamento o meglio su questa domanda: come ci si relaziona con l’eredità? Provando a guardarla anche da una prospettiva diversa, forse più ampia, qualsiasi sia lo scopo c’è l’ingombro dell’eredità, anche quando ci si innamora, come accade a Attilio nel film. Il film è immaginato interamente al Rione Traiano, periferia ovest di Napoli che è il quartiere dove sono nato, che ha generato i miei ricordi e quindi la storia del film.

Una comunità che somiglia sempre meno a un quartiere e sempre più a enorme circo malinconico che tira a campare nei modi più insoliti e vive alla giornata, dimenticati dalla Storia e dal resto delle cose e dimenticato dal dolore, perché il dolore è deriso dal tono canzonatorio e dalla libertà dei personaggi e non solo ma il decentramento testuale della povertà/dolore aiuta a dare anche spazio al racconto politico e sociale, capace di rappresentare con forza il degrado morale di chi nega la possibilità di vivere normalmente a chi è nato ai margini delle grandi città.
Il fascino e la vitalità dei protagonisti rendono le cose più leggere in un film che può sembrare pessimista, anche se accorto a non cadere nel genere di film del dolore: ricattatorio ed esplicito. La povertà è vista senza alcuna pietas ma come la capacità di sorridere del dolore e di gioire nelle sequenze oniriche e rocambolesche che durante il racconto alimentano i sogni dei protagonisti. E quindi come la possibilità poetica di desiderare cose semplici ed essenziali che (nel mondo contemporaneo che si delinea) appaiano sempre più irrilevanti e secondarie perché nascoste dietro chissà quale perverso desiderio di potere o di benessere.
Edgardo Pistone


La produzione e la lavorazione del film
Attilio è un uomo-bambino che prova a vivere a testa alta in un mondo di detriti, portati a valle dalla corrente delle vite degli altri: quella del padre, quella di Martinelli, quella di Vittorio. Risalire la china della sua vita diventa il suo unico obiettivo.
Ma per farlo ha con sé solo gli strumenti della frastagliata esperienza adolescenziale: un lavoro illegale, un amore impossibile, una fuga troppo vicina e troppo pericolosa. Troppi errori lungo il percorso per sperare in un lieto fine.

Anastasia rappresenta il primo amore, quello più spericolato di tutti. L’adrenalina di questo amore fa di Attilio un uomo che a tratti riesce nell’intimo delle sue scelte a essere più adulto e lungimirante di tutti i vecchi che lo circondano. Sa cosa fare per salvare il padre dalle grinfie dello strozzino Vittorio, sa cosa fare per rubare i soldi a Martinelli, sa dove andare per nascondersi e vivere il suo amore con Anastasia.
Il mondo di Attilio è quello del Rione Traiano, il quartiere di origine e dove attualmente vive il regista Edgardo Pistone. La fuga di Attilio è la fuga di Edgardo: Autobiografica seppur immaginaria.

Il mondo raccontato è fatto di elementi semplici: l’amicizia con gli amici di sempre con i quali si condividono i pensieri e gli atteggiamenti più infantili, senza vergogna anzi con l’esaltazione puerile e maschile dello spogliatoio; l’amore per la famiglia, amore taciuto e silenzioso, che non si consuma mai se non nel gesto estremo di liberare il padre; la voglia di libertà ed emancipazione che porta Attilio da Martinelli a vendere piccole refurtive e a guardare le spalle di Anastasia mentre si prostituisce.
Stampato sulla faccia dei protagonisti della nostra storia leggiamo la parola desiderio, e se qualcuno sbaglia non importa perché i bambini sono tutti innocenti.

La scelta del bianco e nero
La scelta del bianco e nero aiuta il film a elevare la storia romanzesca del racconto e lo spoglia del realismo emulato già da tanti film. Un ulteriore elemento riguarda la storia del cinema di ieri: il bianco e nero era usato per le storie realistiche e il colore per quelle fantastiche e avventurose mentre oggi accade il contrario, non solo come in questo film, e la realtà è ormai sempre a colori mentre la sua elaborazione artistica più ardita è in bianco e nero.
Il film è anche per questo immaginato in bianco e nero, come a voler minare le certezze della realtà per calarsi nella deformazione espressiva del racconto e della rappresentazione. Questa scelta permette una rielaborazione estetica della realtà particolare rendendo universali i sentimenti raccontati.

L’importanza del casting
Il casting è stato scelto sulla base della vicinanza degli attori ai personaggi immaginati in sceneggiatura. La prima cosa richiesta era la vitalità da catturare negli schemi rigidi di un set cinematografico con l’intenzione di creare un conflitto tematico tra il cinema e la vita.
Gli attori sono stati scelti dopo un lungo e faticoso street casting ed era richiesto l’uso della lingua napoletana per quanto riguarda tutto il cast ed ucraina per il personaggio di Anastasia.

La scelta più curiosa è stata quella riguardante il ruolo di Luciano: è stato affidato al padre del regista e ciò ha dato la possibilità ad entrambi di esplorare i loro conflitti. Oltretutto a Luciano Pistone come a gran parte del cast non era mai capitato di recitare per un film.
I ruoli secondari sono stati scelti tra attori di talento che fino ad oggi non hanno ancora avuto modo di esprimere il loro potenziale creando un cast di volti nuovi e autentici non ancora visti sul grande schermo.
