Salvatore Piscicelli parla del film
Le occasioni di Rosa si presenta allo spettatore innanzitutto come un film sui comportamenti giovanili nell'odierno contesto urbano (quello napoletano specificamente, osservato qui sopratutto per quegli aspetti che lo avvicinano ad altre metropoli occidentali).
Il punto di vista che il film cerca di esprimere su questa materia, e sull'articolazione dei temi che ad essa sono inevitabilmente connessi (il lavoro, la sessualità, il denaro, l'amicizia, il matrimonio, la droga, ecc..), fa capo principalmente al bisogno di porre una distanza, più esattamente al desiderio di esercitare uno sguardo lucido e pacificato. Si trattava di non giudicare, e anche di non giudicare chi giudica. Al limite, di guardare altrove; nel senso di guardare là dove gli schemi, di qualsiasi tipo siano, cadono davanti a quella che non posso definire altrimenti che come la forza o la necessità delle cose.
Mai come in questo caso mi sono attenuto al principio, per me fondamentale, che per essere nell'attualità delle cose bisogna praticare radicalmente l'inattualità della morale e delle ideologie.
Tutto questo spero si esprima nel film essenzialmente come ricerca di uno stile, coerente, credo, con le mie precedenti esperienze. Una ricerca che tenta di rispondere sostanzialmente ad una domanda: come parlare della realtà, come stare dentro le cose, senza che questo significhi mortificare lo strumento cinema che serve a parlare di questa realtà ed anzi esaltandone le sue capacità affabulatorie, la sua forza di finzione.
Si capisce come una tale domanda metta fuori gioco ogni riferimento al realismo, da un lato, ma anche dall'altro all'uso di una facile e trasparente spettacolarità o a una ricerca di tipo puramente linguistico e sperimentale senza tuttavia che questo significhi una rinuncia all'esattezza dei dati materiali della rappresentazione, o al gioco della finzione, o alla consapevolezza tecnico-linguistica del mezzo.
Ne Le occasioni di Rosa, mi sembra che questa ricerca si sia depurata ulteriormente, rispetto al mio precedente film, di taluni aspetti più accanitamente sperimentali per assestarsi su una zona in cui la consapevolezza stilistica e il piacere di fare Cinema si fondono inestricabilmente.
Come Immacolata e Concetta, anche Le occasioni di Rosa ha al suo centro un personaggio femminile. Ma sarebbe vano, a mio parere, stabilire un rapporto tra i due personaggi, a parte l'idea che la figura femminile è il rilevatore più adeguato delle tensioni e delle trasformazioni della realtà. Immacolata era a suo modo una piccola eroina tragica. Rosa viene dopo la caduta della tragedia. Tra le due figure, e le due generazioni, non c'è continuità ma rottura.
Il personaggio di Rosa è governato da un vitalismo tutto biologico, da un voler vivere che si accompagna costantemente a un lasciarsi vivere, è giocato tra presenza e assenza. E' del resto a questo gioco, a questo contrasto, che si riferisce il tema delle "occasioni". Da un certo punto di vista, anche di clima sociale e storico, credo di individuare in questa differenza una delle novità del film.
Le occasioni di Rosa è stata una novità dal punto di vista produttivo. Il film è stato girato a Napoli nella primavera del 1980 interamente in ambienti dal vero e col sonoro in presa diretta (uno dei pochi esempi in Italia di film in presa diretta integrale, dialoghi ed effetti). Ed è stato prodotto con una formula abbastanza insolita nel panorama del Cinema italiano che vede gli autori direttamente responsabili della produzione e della gestione del denaro proveniente in parte dal prefinanziamento della casa di distribuzione.
Questa scelta è stata praticata non solo nel quadro di un discorso sul Cinema indipendente, che rivendica all'autore un controllo complessivo sul suo fare Cinema, ma anche in funzione di una ottimizzazione del rapporto tra costi e qualità.
Un film è la scelta di un'inquadratura, ma anche lo sforzo di ottenere la resa massima dall'investimento.
Salvatore Piscicelli, 1981